Gang Of Four: “ ‘What Happens Next’ è un album al limite del tempo”
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Gang Of Four: “ ‘What Happens Next’ è un album al limite del tempo”

La storica band punk funk si esibirà domenica 23 agosto al Campovolo di Reggio Emilia

Più di trent’anni di carriera iniziati nel 1979 con un album, Entertainment!, che li ha trasformati nei pionieri del punk funk, un genere tanto caro ai Red Hot Chili Peppers, figliocci adottivi proprio per mano di Andy Gill che produsse l’esordio della band californiana.
A febbraio sono tornati con What Happens Next, che vede il solo Gill a capo della “gang” per undici tracce in grado di muoversi tra sonorità alternative rock di matrice anni novanta, elettronica e indissolubili ritmi carichi di groove, avvalendosi anche di ospiti illustri come Alison Mosshart dei The Kills e Dead Weather alla voce. In attesa di vederli dal vivo per l’unica data italiana di questo tour, domenica 23 agosto al festival Meeting People Is Easy al Campovolo di Reggio Emilia, abbiamo colto l’occasione per parlare del passato e soprattutto del futuro dei Gang Of Four con Andy Gill in persona.

L’album Entertainment! ha segnato un cambiamento musicale in quel 1979 con un suono di basso e di chitarra in grado di mischiare punk, funk, reggae e dub. Mi racconti qualcosa del periodo in cui lo avete registrato?

"Penso che la fine degli anni Settanta sia stato un periodo interessante. Nel Regno Unito c’era certamente un’atmosfera molto densa dal punto di vista politico, con gruppi contrapposti tra loro. Io e Jon King stavamo studiando arte all’Università di Leeds.
C’erano alcuni insegnanti grandiosi: femministe come Griselda Pollock e marxisti come T. J. Clark. Molto di tutto questo è confluito nelle idee per i nostri lavori, per costruire le canzoni e i testi. Mi piacevano vari generi musicali. Nella mia adolescenza ho visto i concerti di Captain Beefheart e Bob Marley; forse il più sorprendente è stato Dr. Feelgood. Parte della bellezza dei Gang Of Four risiede nel fatto che la loro musica non sia riconducibile a un solo genere. Avevo in testa molte cose nel periodo della creazione del primo album dei Gang Of Four, pensavo all’arte contemporanea di Frank Stella e ai lavori di Manet. Pensavo anche a James Brown e a Jimi Hendrix e al Dub reggae. Io e Jon King guardavamo molti film e spesso ne parlavamo. Tra i preferiti c’era Jean-Luc Godard; mi piacevano anche Powell e Pressburger. Jon era più per il Situazionismo mentre io ero in parte ossessionato dall’idea che niente di ciò che facciamo è “naturale”, il nostro comportamento e tutto ciò che facciamo sono costruzioni concepite dall’uomo. Suppongo si tratti di un’idea che deriva dal Marxismo / Femminismo".

Entertainment! e i Gang Of Four nascono in un periodo sociale e politico ben definito come hai raccontato poco fa, e lo avete voluto rappresentare anche nella copertina. Cosa mi puoi dire del concept dietro l’immagine che avete scelto?

"La copertina dell’album Entertainment! fu creata da me insieme a Jon King. L’idea alla base era trovare fotografie interessanti da abbinare ai testi che avevamo creato. All’interno le immagini erano fotografie che avevo scattato a un film trasmesso sulla tv di mia madre. Il film era Scala al paradiso. Le immagini furono una sorta di equivalente visivo per la base concettuale delle canzoni. Sono fotogrammi intensi e minimal, geniali, provocanti e divertenti".

Prima di formare la band, nel 1976, tu e Jon avete vissuto per un breve periodo a New York. Cosa vi lasciò quell’esperienza americana?

"Io e Jon abbiamo vissuto a New York per qualche settimana nell’estate del 1976. Restammo nell’appartamento di Mary Harron vicino a Saint Marks Place. Mary divenne poi una regista: si occupò della regia di Ho sparato a Andy Warhol e American Psycho. Ebbe una grande influenza su di noi e credo ci dimostrò quanto fosse raggiungibile l’idea di formare un gruppo. Andavamo spesso al CBGB e trascorrevamo del tempo con gruppi come i Television e la band di Patti Smith. Mi ricordo di me, seduto al bar, tra John Cale e Joey Ramone".

Chi scelse la sigla Gang of Four?

"Ero a Leeds e stavo camminando con Andy Corrigan dei The Mekons; passammo a fianco di un’edicola e leggemmo il titolo di un articolo: “Gang of four on trial” (La Banda dei Quattro sotto processo, ndr). Andy disse: “è un bel nome per un gruppo”. Mi piaceva perché era audace ed era quasi ridicolo avere lo stesso nome di quel gruppo della Rivoluzione culturale cinese".

Quali sono stati i tuoi chitarristi di riferimento e su quali canzoni hai imparato a suonare la chitarra?

"Keith Richards, Jimi Hendrix e Wilco Johnson. La prima canzone che ho suonato con la chitarra è stata Satisfaction degli Stones".

Entertainment! lo consideri il tuo miglior disco realizzato fino ad oggi come lo ha classificato la critica, oppure, ne sceglieresti un altro?

"Penso che Entertainment! fosse un disco geniale perché è stato ottimo per un gruppo nuovo ed è uscito dal nulla, ma preferisco il secondo album Solid Gold, perché sviluppa il ritmo e il groove che per me è stato sempre molto importante e aveva una nota leggermente più dark, meno irrequieta. Credo che Shrinkwrapped della metà degli anni Novanta sia un album grandioso, ma anche What Happens Next sia fantastico. Entertainment! fu grandioso e credo sia un album che è arrivato alla gente. È interessante vedere come le impressioni sul disco fossero molto diverse tra loro, leggendo le recensioni di quel periodo. Le persone che avevano colto lo spirito dell’album erano entusiaste ma la maggior parte della gente non fu dello stesso parere e il disco venne criticato per molti aspetti. Non mi sorprese, era una cosa nuova. In molti luoghi venne accolto molto bene nei primi giorni del lancio: a Zagabria, in Germania e in Nordamerica".

I Gang Of Four sono stati definiti un gruppo “fondamentale” da Nirvana, Red Hot Chili Peppers, Rem e molti altri ancora. Pensi mai a tutto quello che avete realizzato in questi trent’anni e alla vostra influenza musicale?

"Michael Stipe è sempre molto generoso quando elogia i Gang Of Four, come molti degli artisti che sono stati influenzati da me e dalla band.Sono grato per le buone parole che artisti che io rispetto molto dicono di me e della band, è gentile da parte loro. Nell’ultimo anno mi sono interessato molto al lavoro di St. Vincent e fui molto sorpreso e felice quando ha citato tra i suoi chitarristi preferiti.
Gang Of Four è un progetto attivo, dinamico e in evoluzione, la band attira continuamente un pubblico nuovo e più giovane. Credo sia parzialmente dovuto ai gruppi che sono stati influenzati dai Gang Of Four, per esempio negli anni Ottanta e Novanta Red Hot Chili Peppers, REM, Rage Against the Machine e Kurt Cobain. Ma poi ci sono nuove band come Bloc Party, Futureheads, Franz Ferdinand che citano i Gang Of Four e attirano così un pubblico più giovane, e questo mi fa piacere".

In cosa si differenza il lavoro come produttore da quello “artistico” quando componi canzoni per i Gang Of Four?

"La mia lunga carriera parallela come produttore discografico mi ha aiutato a lavorare sulle tracce dei Gang Of Four sia per la stesura dei testi che per gli arrangiamenti e la produzione. Tendo ad avere idee ben definite sul suono che dovrebbero avere i dischi degli artisti e delle band con cui lavoro, ma l’obiettivo è sempre aiutare l’artista ad arrivare dove si è prefissato di andare. Credo di avere delle caratteristiche stilistiche palesi e dalle quali si capisce che ci sono e che sono coinvolto - non cerco di essere invisibile – anche quando non si tratta di un mio album".

Potresti raccontarmi com’era il processo creativo con Jon e com’è mutato ora che sei rimasto per certi versi l’unico detentore del suono della band?

"Fin dalla prima canzone cominciai ad analizzare tutto quello che stavo facendo più rigorosamente e ad allargare lo spettro dell’ispirazione creativa. What Happens Next è ovviamente un disco dei Gang Of Four ma mi sono ritrovato ad approcciarlo con l’energia e la spavalderia del primo album. Anche se, almeno per me, per ogni disco dei Gang Of Four è sempre un po’ come partire da zero. Dopo che Jon King ha lasciato il gruppo, ovviamente lo è stato ancora di più, molto di più. Per me questo album è un’enorme dichiarazione di intenti ed era estremamente importante che la qualità fosse buona, alla pari di tutti gli altri album dei Gang Of Four. Le critiche che ho letto finora lo confermano e mi fa piacere poterlo dire".

In che modo sono nate le canzoni di What Happens Next? Come mai la scelta di questo titolo quasi “profetico” ma senza risposte?

"Il titolo si riferisce ovviamente alla band, a dove si trova nella sua evoluzione, al mondo e alle nostre vite personali, tutte le nostre vite. Si riferisce a tutti noi che siamo sempre al limite del tempo – è questo che sta succedendo, mentre ci affrettiamo senza sosta verso il futuro. È così. È una sequenza di fotogrammi del momento attuale".

E con gli “ospiti” presenti nel disco com’è andata?

"Le collaborazioni con gli altri artisti sono avvenute in modo molto semplice, è stato abbastanza intuitivo per me. I Gang Of Four sono sempre stati un progetto con persone che entravano e uscivano e la mia costante presenza. Ho lavorato un po’ in studio con i The Kills e ho pensato subito ad Alison per la voce di Broken Talk. Fu molto felice di venire in studio a cantare un paio di canzoni.  Adoro la canzone Dominoes dei The Big Pink, di qualche anno fa. Ho contattato Robbie Furze e gli ho chiesto se voleva cantare in un pezzo a cui stavo lavorando; è venuto in studio un paio di volte e ha cantato con una voce meravigliosamente squadrata e geometrica. Gail Ann Dorsey è una mia vecchia amica e ha suonato varie volte nei Gang Of Four come bassista. È una musicista fantastica e una cantante davvero grandiosa. La canzone che canta, First World Citizen, richiedeva la sua voce. Herbert Grönemeyer è un amico, lo conosco da almeno vent’anni. Me lo presentò Anton Corbijn. Stavo parlando a Herbert del nuovo album, circa un anno e mezzo fa, e mi chiese se mi sarebbe piaciuto che lui cantasse qualcosa. La caratteristica di Herbert e che adoro sono le sue ballate malinconiche impregnate di rabbia. Sapevo di dover scrivere una canzone che potesse incorporare questo aspetto particolare del suo carattere e così, più di ogni altra traccia, doveva avere davvero un “taglio sartoriale”. Ci ho lavorato molto e ho imboccato molti vicoli ciechi fino ad arrivare a comporre la musica di Dying Rays. È stata un’esperienza straordinaria ascoltarlo cantare la traccia proprio come me l’ero immaginato, ma meglio di come l’avevo pensato.Tomoyasu Hotei è il più grande chitarrista del Giappone; passa molto tempo in giro per concerti negli stadi del Giappone. Gli piace come suono la chitarra e così ci siamo conosciuti. Alla fine abbiamo deciso di scrivere qualcosa insieme. Il riff iniziale di Dead Souls è Hotei puro".

Cosa ne dici di suggerire una playlist di brani da ascoltare per i nostri lettori?

"Consiglierei il nuovo album dei Wild Beasts, non sono sicuro del titolo, ci sono alcune tracce che sono davvero di qualità. Il nuovo album delle Sleater Kinney, dal titolo No Cities to Love. Il nuovo album di Herbert Grönemeyer, è tutto in tedesco ma nonostante questo lo adoro! The Best of Muddy Waters (su vinile) – negli anni, torno sempre lì. L’ultimo di Kanye West, in quell’album ci sono tre o quattro tracce assolutamente sorprendenti".

Hai un buon ricordo del nostro paese? Ti ricordi la prima volta che hai suonato in Italia?

"Sì, sono sicuro di aver suonato a Milano, in un grande club. Forse era nel 1980 o nel 1981. È stato grandioso. Dopo il concerto una donna italiana molto carina mi ha invitato a bere qualcosa".

Testo e intervista di Enrico Rossi
https://www.facebook.com/enrico.youthlessfanzine
Traduzione di Lorena Palladini
https://www.facebook.com/lorena.palla

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