Fabrizio De André: mai avuta una donna per amico
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Fabrizio De André: mai avuta una donna per amico

È una delle confessioni del cantautore genovese scritta su foglietti volanti che Panorama pubblica in esclusiva. Potere, sesso, parità: ecco come la pensava il grande Fabrizio

Prendeva appunti dappertutto Fabrizio De André. Su un foglietto stropicciato, su un quotidiano, sulla copertina di un libro, lungo le pagine di un romanzo o a margine di un’illustrazione. Ogni pensiero diventava parola scritta. Anche i discorsi da concerto venivano rigorosamente vergati a mano prima di essere pronunciati. Come gli appunti inediti di queste pagine, messi a punto per il tour teatrale andato in scena tra il 1992 e il 1993.

"Nella scaletta di quegli spettacoli" racconta Dori Ghezzi "i brani dedicati alle donne e agli uomini erano raggruppati e divisi tra primo e secondo tempo". Una scelta che De André volle spiegare dal palcoscenico. "Fabrizio" spiega la vedova "non riusciva a intravedere comportamenti simili fra gli uomini e le donne". Una riflessione figlia della lettura di un libro molto caro al cantautore: Il matrimonio illustrato di Gesualdo e Giovanna Bufalino.
"Proprio su quelle pagine, appuntò una bozza di discorso da concerto" ricorda Dori. "Scrisse così: da bambino pensavo che le donne in mezzo alle gambe avessero un mostro che mi avrebbe fatto a pezzi, poi a quel mostro mi sono talmente affezionato che l’idea di conquistarlo faceva passare in sottordine qualsiasi altro tipo di approccio umano: se una donna mi attraeva facevo di tutto per riuscire a farci l’amore, se non mi attraeva le voltavo le spalle e preferivo andare a chiacchierare con un amico. Non sono mai riuscito a diventare amico di una donna, il che vuole dire non essere riuscito a conoscerle se non parzialmente".

L’ammissione di una sconfitta? "No, la sua era una dichiarazione di rispetto per la libertà individuale, di uomini e donne, che inevitabilmente sono complementari come le tessere di un gigantesco, perpetuo, puzzle d’amore".

Discorso sulle donne
A questo punto vi sarete resi conto che tutte le canzoni di questa prima parte fanno riferimento alle donne. È semplicemente la dichiarazione di una sconfitta: per quanto abbia cercato l’uguaglianza nei comportamenti degli uomini e delle donne, non sono mai riuscito a trovarla: anzi, direi che, reduce anch'io da una cultura di matrice maschilista, questa uguaglianza non ho mai voluto veramente trovarla. Ho preferito lasciare alle donne con cui ho avuto a che fare quel loro spazio di impenetrabilità che mi consentiva di mitizzarle quindi di crederle forse migliori di quanto non fossero in realtà. E se questa tattica un po’ rozza ha rappresentato e tuttora rappresenta una sconfitta intellettuale, d’altro canto mi ha consentito di vivere bene con le donne della mia vita, tanto è vero che, dopo un lungo e felice matrimonio finito più per consunzione che per motivi di attrito, mi sono altrettanto felicemente risposato e il risposarsi rappresenta un po’ il trionfo della speranza sull'esperienza, ma la speranza è appunto alimentata da un mito. Infatti, mia moglie continua a essere una faccenda completamente diversa da me e per buona parte sconosciuta: accanto alla sua vita reale ne scorre un’altra sotterranea e parallela piena di ripostigli, di anfratti, di cassettini in cui nasconde un vasto repertorio di gioie, di dolori, di speranze o di delusioni: in questi ripostigli io non ci voglio ficcare il naso. Il che mi lascia almeno sperare che in uno di quei cassetti ci sia anch'io. D’altra parte, che cosa pensano loro di se stesse, che cosa pensano le donne delle donne, loro che si conoscono perfettamente? Se dobbiamo credere a Madame de Staël (scrittrice francese, ndr), non ne pensano affatto bene. Lei, alla fine del Settecento, diceva: "Sono molto contenta di non essere un uomo, altrimenti mi sarebbe toccato di sposare una donna".

Discorso sugli uomini
La maggior parte degli uomini, per come li conosco io e per quanto mi conosco, rappresentano, sono, la simbologia del potere, e il potere lo si conquista in vari modi, quasi nessuno dei quali è corretto (non è solo un problema di conquista del potere ma anche del suo esercizio). E, se per arrivare al potere si possono usare mezzi tradizionalmente leciti, per esercitarlo e per mantenerlo, i mezzi che vengono usati sono sempre illeciti. Il potere, da che mondo è mondo, lo si esercita e lo si mantiene attraverso la violenza nelle sue diverse sfumature (violenza privata, violenza pubblica, violenza economica o violenza bellica). Fin da piccoli, i bambini fanno la lotta: i bambini si picchiano e fanno la guerra, non così le bambine. Che cos’è? Un istinto diverso? Può anche darsi, il fatto è che verso i maschi c’è molta più condiscendenza da parte dei genitori, c’è una forma di educazione che quasi si compiace della violenza e questa educazione si è talmente radicata che la violenza è entrata, nel caso dei maschi, a far parte della memoria prenatale: cioè temo che i maschi nascano violenti più per stratificazione di cattivi insegnamenti che non per istinto. O, come minimo, nulla si è fatto per combattere questo istinto. Vi sembra che stia esagerando?

Discorso sugli applausi
Grazie, grazie anche se forse non tutti voi conoscete l’origine dell’applauso: pare che l’applauso sia nato tra le antiche popolazioni della Mesopotamia. Serviva a coprire le grida di chi bruciava sul rogo. Fortunatamente, i tempi sono cambiati, le vittime sacrificali non bruciano più sui roghi e gli applausi o i fischi servono soltanto per approvare o per disapprovare le grida di chi sta su un palcoscenico.

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Gianni Poglio