Brian Epstein: "Scusate se ho inventato i Beatles"
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Brian Epstein: "Scusate se ho inventato i Beatles"

La nascita dei Fab Four nelle parole di un genio visionario: l'uomo che ha creato dal nulla i re del pop

"Sabato 28 ottobre 1961: ero appena tornato da una lunga vacanza in Spagna durante la quale mi ero chiesto come avrei potuto ampliare i miei interessi. La risposta arrivò subito, quando un tizio chiamato Raymond Jones pronunciò queste parole: 'Hai un disco dei Beatles?'. Non sapevo chi fossero. Scrissi su un blocco: My Bonnie, The Beatles. Controllare lunedì. Prima che avessi il tempo di fare quella verifica due ragazze s’avvicinarono al bancone. Volevano il 45 giri di questo gruppo dal nome strano".

Era il direttore di un negozio di dischi, a Liverpool, Brian Epstein, 28 anni, di origine ebraica, una carriera scolastica disastrosa alle spalle. Ignorava che cosa fosse il marketing e non aveva mai varcato la soglia di una casa discografica, ma era ambizioso e soprattutto visionario. Osservò i Beatles mentre si esibivano a mezzogiorno in una cantina maleodorante (The Cavern, ndr) e capì tutto. Se li immaginò con i capelli a caschetto, le giacche senza collo e gli stivaletti di camoscio ai piedi. Loro, i Beatles, gli strinsero la mano negli anfratti di quella cantina ammuffita e intuirono che quell’uomo li avrebbe portati lontano. Una storia leggendaria, raccontata magistralmente nelle pagine di Una cantina piena di rumore (Edizioni Arcana, 192 pagine, 17,50 euro), l’autobiografia, pubblicata per la prima volta in Italia, del "quinto Beatle", l’uomo che ha cambiato per sempre il corso della musica.

"Mi feci avanti verso il palco" racconta Epstein "oltrepassai i giovani volti assorti e i corpi danzanti e per la prima volta vidi i Beatles da vicino. Non erano molto ordinati e nemmeno molto puliti. Fumavano mentre suonavano, mangiavano, parlavano e facevano finta di capirsi l’uno con l’altro. Voltavano le spalle al pubblico, urlavano tra di loro e ridevano per battute che nessuno riusciva a comprendere. C’era del fascino indefinibile. Erano estremamente divertenti e magnetici grazie a quel modo rude, a quello stile prendere o lasciare. Bisognava solo mettere mano ai capelli... Mai nella vita avrei pensato di gestire un artista o di rappresentarne uno, ma qualcosa accese una scintilla tra di noi, perché organizzai un incontro al negozio". Data fissata: 3 dicembre 1961. "Li guardai lentamente e dissi: molto semplicemente avete bisogno di un manager. Vi va bene se lo faccio io? Per qualche istante, nessuno parlò, poi John a voce bassa e roca disse: sì. Gli altri annuirono. Elaborammo un accordo Beatles-Epstein dove ogni Beatle firmò in presenza di Alastair Taylor, un impiegato del negozio. Una sola firma non fu mai posta su quel primo contratto, la mia. Ma ne ho rispettato i termini e nessuno si è preoccupato" scrive Epstein, svelando un incredibile particolare inedito: il più importante accordo della storia del Pop non è mai stato sottoscritto dal manager del gruppo. "Ottenemmo un’audizione alla Decca records" spiega Epstein. "Era il 1° gennaio 1962. I Beatles presero una stanza al Royal Hotel in Woburn place a Londra, pagando 27 pence a notte, per letto e prima colazione. Erano poveri e io non ero ricco, ma tutti festeggiammo con rum, scotch e Coca-Cola, che stava diventando la bevanda Beatle. La mattina seguente dissi ai ragazzi: che cosa succede se crolla tutto? Non ci sono garanzie che possiamo ottenere un contratto. Rimarrete delusi? Risposero tutti no, ma i loro visi dicevano sì, e capii che stavamo illogicamente ponendo grandi speranze su quell’appuntamento. Arrivammo alla Decca alle 11 del mattino. C’era un vento sottile e tetro, con neve e ghiaccio. Mike Smith, il nostro uomo, era in ritardo ed eravamo piuttosto infastiditi, non solo perché eravamo ansiosi di registrare alcune canzoni, ma anche perché ci sentivamo trattati come persone che non contavano nulla".

Il primo clamoroso errore dei manager della Decca. "Registrammo diverse canzoni e ritornammo a Liverpool per aspettare. Tornai da loro in marzo, su appuntamento, con un invito a pranzo. Mi sentivo pessimista, ma cercai di non dimostrarlo quando incontrai Beecher Stevens e Dick Rowe, due dirigenti importanti. Prendemmo un caffè, poi il signor Rowe, un uomo basso e robusto, mi disse: 'Non uso mezzi termini, signor Epstein, non ci piace il suono dei suoi ragazzi. I gruppi di chitarristi sono destinati a finire'. Allora, mascherando la fredda delusione che si era impossessata di me, dissi: 'lei deve essere fuori di testa. Questi ragazzi stanno per esplodere, sono assolutamente certo che un giorno saranno più grandi di Elvis Presley'".

Una profezia che nessuno prese sul serio in quei giorni. Ma ora, dopo cinquant’anni, sappiamo chi aveva avuto ragione dal principio: Brian il visionario.

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