Antony Hegarty, il transgender delle note
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Antony Hegarty, il transgender delle note

Per lui sono impazziti Lou Reed e Marina Abramović. In America è un mito. Il segreto? Una voce maschio-femmina

La voce di un angelo imprigionata nel fisico di un gigante. Quando canta, Antony Hegarty non è uomo e nemmeno donna, come se l’identità transgender della sua vita personale trovasse una diretta corrispondenza nell’espressione artistica che arriva dalle corde vocali. "Io, piazzato esattamente a metà strada tra il coro dei ragazzi e quello delle ragazze: questa è la Polaroid dei miei anni del liceo a San Jose, in California. Dietro i 10 milioni di transgender nel mondo ci sono altrettante storie dolenti d’identità labile. Ma ai media interessano solo i particolari anatomici, non quello che succede dentro".

Turbolento: così si può definire l’approdo al mainstream di Mr. Hegarty. Il suo percorso verso la luce della notorietà e dell’accettazione ha fatto tappa nei sottoscala popolati di drag queen nell’East side di Manhattan. Gli stessi club di frontiera dove Lady Gaga ha appreso la dura legge del palcoscenico. Lei voleva il trono del pop, lui, soltanto occhi e orecchie senza pregiudizi. "Alternavo performance di teatro estremo, tra nudità e lanci di carne cruda agli spettatori, a show vocali in condizioni drammatiche. Il palco era una sedia traballante nel mezzo del locale" racconta.

All’inferno della gavetta lo ha sottratto Lou Reed, cacciatore di talenti nei meandri della Manhattan decadente. "Se la sua voce non ti commuove, forse hai smesso di respirare" ha detto dopo averlo visto, consegnando così Antony al grande pubblico e all’élite dell’arte contemporanea. In particolare a Marina Abramović che lo ha fortemente voluto sul palco della sua pièce teatrale, The life and death of Marina Abramović, diretta da Bob Wilson con la partecipazione in scena di Willem Dafoe. "Ci unisce" spiega Antony "la convinzione che la voce e la musica siano l’ossigeno del mondo. Il nostro primo faccia a faccia è avvenuto al Moma di New York nel mezzo di una performance live, The Artist is present. Ovvero, Marina, seduta per ore al centro della sala davanti a una sedia vuota che a turno veniva occupata dai visitatori in fila. Mi sono accomodato, l’ho fissata e ci siamo commossi".

Il passo successivo è stata la complicità nella realizzazione di uno dei videoclip più cruenti della storia della musica, quello di Cut the world (è anche il titolo dell’ultimo album di Antony) che mostra un businessman (Willem Dafoe) sgozzato freddamente dalla sua segretaria tra le mura dell’ufficio. Un omaggio alla pulp mania? "No, la metafora della fine del sistema patriarcale".

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Gianni Poglio