I motivi della vittoria di Marine Le Pen in Francia
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I motivi della vittoria di Marine Le Pen in Francia

Intervista con Alexandre Delaigue, docente di economia a Saint-Cyr, la più prestigiosa accademia militare di Francia che forma la classe dirigente francese dal 1802

Front National, stallo economico della Francia, ma anche futuro (incerto) dell’eurozona. Abbiamo parlato di questo con Alexandre Delaigue, docente di economia a Saint-Cyr, la più prestigiosa accademia militare di Francia, che forma la classe dirigente francese dal 1802.

Il Front National era atteso intorno al 22-23%, ma il risultato finale è stato perfino migliore. Qual è stato il principale fattore della vittoria?
Primo, è una vittoria personale per Marine Le Pen, che è un animale politico davvero talentuoso. Suo padre è sempre stato bravo a cavalcare le onde del populismo, ma molto spesso si è sparato sui piedi da solo con dichiarazioni scandalose (come quella sull’ebola per fermare gli immigrati, ndr) e non è mai stato in grado di costituire una squadra efficiente. Di contro, Marine ha intorno a sé persone preparate e sa bene quali sono i suoi obiettivi. Inoltre, c’è anche lo stato attuale dell’economia francese, che non è peggio di tanti altri Paesi europei, ma nemmeno meglio: crescita zero dall’inizio della crisi subprime a oggi e una disoccupazione record.

Ma non c’è solo l’economia a spingere Le Pen...
No, infatti. Hollande ci ha messo del suo, visto che ha una popolarità in costante calo, e l’UMP è dilaniato da lotte interne e scandali finanziari. Ancora, se si aggiunge che l’Europa è sempre usata come caprio espiatorio dai politici francesi e che le elezioni europee sono uno strumento per i cittadini francesi di manifestare quanto sono arrabbiati, si ottiene un’autostrada per la Le Pen.

Il prossimo passo?
Assolutamente nessuno. Le cose resteranno esattamente così come sono fino alle prossime presidenziali. Questo è l’unico momento di mutamento. Nel mentre, attendiamoci che la Le Pen continui a guadagnare potere.

Abbiamo detto che l’economia francese non è né migliore né peggiore di altre, ma da più parti si invocano riforme strutturali. La Francia ha perso il momento?
Non puoi perdere qualcosa che non è mai stato messo in piedi. In Francia c’è davvero poco interesse per le riforme, sia nell’elettorato sia nella classe politica. Hollande è arrivato all’Eliseo con la solita idea: aspettare che l’economia rimbalzasse e che la disoccupazione scendesse, sperando che lo facessero in tempo per le prossime elezioni. Fino ad allora, quindi, meglio fare del maquillage contabile per ingraziarsi i politici europei e il proprio elettorato.

Ricorda qualcosa, se non erro…
Certo. Era il programma di Jacques Chirac. E Hollande è considerato il suo diretto erede, anche se è di un partito diverso. Non che Sarkozy fosse molto diverso. E poi c’è Manuel Valls. Lui è davvero bravo a parlare, specie quando cerca di posizionarsi come centrista. Peccato che non creda in nulla se non in sé stesso e stia cercando di proteggere la sua immagine fino alle prossime presidenziali, in modo da scalzare Hollande se avrà più popolarità di lui. Tuttavia, il problema maggiore è un altro.

Quale?
Le vere macchiette sono i ministeri economici. Da un lato abbiamo Michel Sapin come titolare delle Finanze, che ricopriva questa posizione vent’anni fa. Il suo compito è quello di ingraziarsi la Commissione europea con un po’ di austerity, qualche aumento delle tasse e alcuni tagli alla spesa. Dall’altro lato abbiamo Arnaud Montebourg, ministro dell’Economia, che esemplifica tutti gli errori della politica industriale francese degli ultimi 30 anni. Morale? La Francia ha un ministero che uccide la crescita di breve termine con l’austeriy e un ministero che uccide quella potenziale di lungo periodo tramite politiche designate per salvare imprese bollite. La ricetta perfetta per paralisi e stagnazione.

Guardando all’Europa, le elezioni potranno produrre un distacco tra Francia e Germania, complice il successo del Partito Democratico. Un fatto positivo, data la possibile nuova linfa vitale del PD. Ma in ogni caso, la strada per la nuova eurozona resta lunga e tempestosa. Cosa si attende dalla prossima classe politica europea?
Noi pensiamo troppo a leader e regole, ma non abbastanza ai processi. Un esempio? Il processo di integrazione europea - il cosiddetto “Processo Monnet” - ha funzionato bene durante la crisi. Pensiamo a quanta sovranità è stata ceduta dai governi in questi anni. Alcuni esecutivi hanno visto le loro politiche interne determinate de facto dalla troika, le authority nazionali hanno ridotto la vigilanza bancaria cedendo maggiori poteri alla Bce, sono arrivati i controlli sulle leggi di bilancio. Tutti questi cambiamenti non ci sarebbero mai stati senza la crisi. E questi processi sono ben più forti dei leader europei. Per questo non mi attendo molto di più, a parte parole vuote.

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Fabrizio Goria

Nato a Torino nel 1984, Fabrizio Goria è direttore editoriale del sito di East, la rivista di geopolitica. Scrive anche su Il Corriere della Sera e Panorama. In passato, è stato a Il Riformista e Linkiesta e ha scritto anche per Die Zeit, El Mundo, Il Sole 24 Ore e Rivista Studio. È stato nominato, unico italiano, nella Twitterati List dei migliori account Twitter 2012 da Foreign Policy.

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