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Migranti: una lezione all’Europa dall’America Latina

Brasile, Argentina, Cile e Uruguay hanno aperto le porte ai profughi siriani. Un esempio che deve far riflettere gli Stati membri dell’UE

di Mariana Diaz Vasquez per Lookout news

Più di 10mila chilometri separano l’America Latina dall’Europa. Nonostante ciò, alcuni Paesi del continente americano hanno già cominciato a ricevere, o si preparano a farlo, decine di famiglie di siriani in cerca di asilo, segno che l’eco del dramma vissuto in Europa non ha lasciato nessuno indifferente anche a queste latitudini. Nazioni come il Brasile, l’Argentina, il Cile e l’Uruguay stanno studiando progetti di integrazione che prevedono, tra gli interventi, corsi di insegnamento dello spagnolo o del portoghese e forme di assistenza medica.

 Lo Stato pioniere è l’Uruguay. Già lo scorso anno, quando il presidente era ancora Josè Mujica, il Paese ha accolto un centinaio di persone dando loro vitto, alloggio e un sussidio per il primo periodo di residenza. Un’operazione che è costata circa 3milioni di dollari. Dal Cile, invece, è arrivata la conferma pochi giorni fa: il governo si è dichiarato pronto a ricevere fra le 50 e le 100 famiglie. Nel Paese sudamericano vive una delle comunità siriane più grandi dell’America Latina, con circa 80mila persone. Sarà questa stessa comunità, insieme al governo, ad aiutare i siriani a integrarsi nel nuovo contesto sociale. Intanto l’Argentina ha già ricevuto 233 famiglie e anche il Brasile ha fatto la sua parte accogliendo finora 2.077 rifugiati, come affermato dal Comitato nazionale brasiliano per i rifugiati.

 Nonostante il contenuto numero di famiglie che chiedono asilo in questi Paesi, le criticità sono comunque venute a galla. L’Uruguay deve rispondere alle richieste di molti rifugiati che hanno espresso l’intenzione di lasciare il Paese. Secondo quanto riportato dai giornali locali, le promesse del governo non sarebbero state mantenute e i sussidi non basterebbero per soddisfare le esigenze di tutti. Le famiglie accolte affermano di essere costrette a vivere in condizioni modeste, anche se in realtà la maggior parte dei rifugiati ha già trovato un impiego. Molti affermano che erano migliori le condizioni nei campi profughi in Libano e adesso chiedono di poterci tornare. Il presidente dell’Uruguay, Tabarè Vasquez, ha risposto che sono completamente liberi di farlo. Anche se non può bastare una risposta del genere per risolvere il problema.

 Al di là delle polemiche, nelle prossime settimane la storia di altre centinaia di profughi potrebbe essere scritta in terre lontane dalle loro origini. Terre che, mettendo da parte le evidenti differenze culturali, hanno saputo integrare persone che scappano dalle guerre dell’Africa e del Medio Oriente e che oggi stanno travolgendo l’Europa. Serbi, croati, tedeschi, italiani sono solo alcune delle grandi comunità che vivono in perfetta sintonia nei tanti Paesi dell’America Latina che li hanno accolti decenni fa. Lo stesso vale anche per i siriani, la cui comunità in Cile contribuisce attivamente allo sviluppo di iniziative per il sociale, con la costruzione di scuole e ospedali e la creazione di fondazioni di beneficenza. Ciò dimostra che quando l’integrazione si fa concretamente, evitando la demagogia, anche dagli stranieri può arrivare una mano per costruire il futuro di un Paese, a qualunque area geografica esso appartenga.

Frontiera calda in Ungheria

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Monaco di Baviera, 5 settembre 2015, l'arrivo dei profughi

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