La mia Pasqua da studente di Garissa
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La mia Pasqua da studente di Garissa

Come mai siamo stati tutti "Charlie" ma oggi fatichiamo a sentirci cristiani?

Quest’anno la pasqua dei social network è stata disseminata da un coro di avvisi ai naviganti: “prima di farmi gli auguri chiediti se sono credente”. Variamente declinato, questo refrain ha diviso il popolo del web tra sostenitori di una laicità senza se e senza ma (certamente tra questi più di un dirigente scolastico che ha sbarrato le porte dell’istituto alla mite benedizione del prevosto di paese) e chi, al contrario, riconosce al valore della tradizione un significato che va ben oltre il mero senso religioso. Chissà perché, proprio in questi tempi di rinnovato oscurantismo confessionale, fatto di violenze inaudite contro chi professa fedi diverse, sovviene in molti il desiderio di prendere le distanze da una ricorrenza che, al contrario, evoca principalmente la vittoria della vita sulla morte, il primato del bene contro il male degli uomini.

Chissà se tra coloro che hanno fatto convinta professione di ateismo o agnosticismo, c’è qualcuno che, come me, ogni anno cerca nella memoria e nel ricordo le immagini di un tempo non così lontano dove celebrazioni come la pasqua univano le comunità senza algidi sofismi, ed erano capaci di far ritrovare, dentro o fuori dalle chiese, persone delle più diverse sensibilità, in affreschi così bene tratteggiati dalla penna di Guareschi. Ma, si sa, in un’epoca in cui il relativismo assurge a religione, rifuggire dalla matrice della propria tradizione è esercizio in cui molti amano dilettarsi talvolta al limiti di un’iconoclastia non dissimile da quella che arma di piccone le braccia dei deturpatori della tradizione millenaria persiana.

Eppure proprio in questi giorni forse la ricorrenza pasquale dovrebbe unire anziché dividere. Unire tutti nel battito di mani e nei canti di una chiesa kenyota, dove il coraggio della comunità cristiana è più forte dell’inusitata violenza jiadista.

Ci siamo tutti iscritti all’orgogliosa rivendicazione dell’essere Charlie, senza curarci del dissacrante libertinismo che animava i martiri parigini. Chissà perché ora è così difficile immaginarsi studenti cristiani di Garissa.

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