La lezione di Martina sulla vita e sul perdono
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La lezione di Martina sulla vita e sul perdono

Altro che Preiti: onore alla figlia di Giuseppe Giangrande, una ragazza degna figlia di un Carabiniere - le foto della sparatoria - chi inneggia a Luigi Preiti - la sparatoria si poteva evitare -

Grazie, Martina, sei riuscita a non farmi piangere. Hai sempre detto una provvidenziale parola di speranza tutte le volte che stavo sul punto di sciogliermi. Ti ho ascoltata in conferenza stampa. Ho ammirato la lezione delle tue risposte limpide di ventitreenne che all’apice della bellezza della vita perde la madre e tre mesi dopo si licenzia per dedicarsi completamente al padre. Giuseppe Giangrande, il cinquantenne brigadiere dei carabinieri  che rischia la paralisi per il colpo sparatogli al collo da Luigi Preiti, può esser fiero di te, sua figlia. Di averti saputa crescere, lui e sua moglie, come sei. Così forte e buona.

Ho provato a immaginare cosa dev’essere stato per te, Martina, ritrovarti all’improvviso davanti alle telecamere di tutte le televisioni a parlare della tua tragedia privata. Le domande dei miei colleghi, anche se pronunciate in tono rispettoso, avevano un solo obiettivo, “fare titolo”. È il nostro lavoro e a volte non è bello. E così: perdonerai l’uomo che ha sparato a tuo padre? Voglio citare per intero la tua risposta. È incredibile.

“Perdono? Tra i due chi ha perso sono stata io, non lui, quindi non so, non credo, non so, non penso, non voglio pensare, ora non mi interessa, ora penso a mio padre e a me…”. Poi quell’immagine della tua famiglia ferita. “Dopo la morte di mamma, noi due ci definivamo un piccolo esercito sgangherato. Ora ci sono rimasta io, siamo in un deserto e siamo un mezzo esercito… molto sgangherato, quindi non so”. E mentre lo dicevi, come ogni volta che hai detto qualcosa che poteva far piangere per prima te, hai sorriso. E anch’io non ho pianto. È la tua forza, il sorriso.

E quell’altra lezione. “Lavoravo fino a ieri, mi sono licenziata per seguire mio padre, mi sembra giusto, doveroso. Tutti i progetti di vita che avevo fatto già dalla morte di mia madre si sono in un momento stravolti, quindi si ricomincia: altri progetti, altri obiettivi e vedremo di portarli a termine, sperando che tutto vada bene”. Acquista un senso vero, tutto diverso dalla retorica melensa e spesso ipocrita dei vaghi impulsi di pacifismo mediatico e ideologico, quel che hai detto dopo, quasi a conclusione: “Sono giovane, quindi spero in un mondo migliore, come direbbero le Miss, nella pace del mondo”. Mai arrendersi. Sempre guardare avanti. Senza compiangersi. Con tenacia.    

Certo, che i giornali abbiano poi forzato le tue parole (“Non so, non credo che potrò perdonare chi ha sparato a mio padre”) come rifiuto di perdonare o come incapacità di decidere se farlo o no, è una perversione mediatica. E nulla può sostituirsi alla completezza del tuo messaggio di dolore, amore, speranza e dignità.
Sei proprio la figlia di un carabiniere, Martina!
 

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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