Marine Le Pen si prende una Francia preoccupata
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Marine Le Pen si prende una Francia preoccupata

Il giorno dopo il paese d'oltralpe vive tra stupore e paura del futuro dopo il trionfo dell'estrema destra

Tutti vogliono lei, tutti guardano alla sua chioma bionda. Lei, novella Giovanna d'Arco pronta a difendere la Francia dall'Europa, è Marine Le Pen. A Nanterre, cittadina poco fuori Parigi dove ha sede il comitato elettorale del Front National, la festa è stata lunga. Il FN ha appena vinto le elezioni europee con un risultato che definire storico è un eufemismo. Nessuno si sarebbe aspettato il FN arrivasse al 25% dei voti. Il cielo sopra Parigi, il giorno dopo, è plumbeo, ma la Ville Lumière è blu. Per la precisione, il Blu Marine del Front National.

«Una vittoria storica». È così tutta la stampa transalpina, in modo unanime, commenta la performance del FN. Ieri, domenica mattina, Le Parisien accreditava Marine Le Pen al 22-23%, ossia due punti sotto il risultato reale. Solo un sondaggio, quello di Ipsos-Steria, dava il FN al 24 per cento. A mano a mano che inizia lo spoglio delle schede si capisce che tutti i sondaggi erano sbagliati. E inizia a serpeggiare il terrore. Sì, perché insieme allo stupore per l'affermazione della Le Pen c'è il terrore di una deriva estremista così intensa da far sfilacciare i rapporti, già tesi, tra Francia e Germania. «Noi vogliamo un'Europa nuova, fatta di Stati liberi e sovrani che cooperano, ma non vogliamo questa Europa di austerity e poteri forti. Vogliamo tornare a essere la Francia di sempre, senza catene né vincoli esterni», ha urlato la Le Pen da Nanterre. Era un fiume in piena, così come lo sono oggi i suoi compagni di partito. Il più feroce nei commenti è Wallerend de Saint-Just, tesoriere del FN e uomo forte a Parigi. «Siamo pronti a dare alla Francia un futuro diverso, libero dalle catene dell'Europa. Il popolo ci ha chiesto questo e lo atterrà», ha detto gonfiando il petto e abbracciando Marine.

Lo shock non è finito nemmeno a tarda sera, quando c'è la certezza che il FN ha ottenuto la maggioranza dei voti, né il giorno dopo. Come spiega Frederik Ducrozet, capo economista del Crédit Agricole, «il successo della Le Pen porta con se diverse domande: bisogna capire perché ha vinto e cosa potrebbe succedere ora». Il riferimento di Ducrozet è sulla tenuta del governo dopo questo voto. Le indicazioni sono chiare. Se si tornasse alle urne politiche ora, la Le Pen stravincerebbe. Lo pensano le banche d'investimento, come BNP Paribas che stamattina ha messo in guardia i propri clienti istituzionali sulla portanza del risultato del FN, ma lo pensano anche molti elettori. Il risultato è stato netto in tutto il territorio francese, comprese le banlieu parigine, come ha ricordato Les Echos in un editoriale. «Non bisogna stupirsi troppo, perché questo è segnale, forse il più importante, di quanto sia pesante la crisi dei partiti tradizionali in Francia», ha scritto oggi Société Générale in una nota di commento alla tornata elettorale di ieri.

La più cocente sconfitta in Francia è quella del Partito Socialista di François Hollande e Manuel Valls. Essere sotto il 20% per la gauche significa non solo essere il terzo partito del Paese, ma anche essere senza futuro, in assenza di un rinnovamento profondo e totale. Lo sa bene Hollande, il cui consenso continua a battere nuovi record al ribasso. Lo sa Valls, che da primo ministro non ha abbastanza spessore per incidere sul futuro del partito, come ricorda Le Monde. E lo sanno bene anche gli elettori, che hanno preferito non votare piuttosto che dare la propria preferenza ai socialisti. Un partito, spiegano i tanti parigini che incontriamo, considerato morto e lontano dalla gente. «Ho votato socialista per tutta la mia vita - spiega Jean, panettiere 70enne del 18esimo arrondissment - ma questa volta non sono andato, non aveva senso votare “quella roba lì”». Gli fa eco Maurice, giovane avvocato: «Hollande ha sbagliato tutto, ed è impossibile votarlo. Anche io mi sono astenuto». Interviene anche Veronique, farmacista, che rincara la dose. «Io avevo la tessera del PS, ma l'ho stracciata. La vittoria della Le Pen è merito di Hollande», spiega animosamente. Ed è proprio questo uno dei concetti più ricorrenti.

Dal quartier generale di rue de Solférino le bocche sono cucite. «No, non ci sarà alcun rimpasto di governo, né ora né fra sei mesi. L'esito elettorale non muta il percorso intrapreso dal presidente e dal primo ministro», continuano a ripetere gli addetti stampa. Nessuno dei giornalisti pare credergli. Il risultato è uno scollamento ancora più elevato dalla realtà. In molti fanno il paragone con il 21 aprile 2002, quando il Front National di Jean-Marie Le Pen arrivò secondo al primo turno, con il 16,86% dei voti, dietro al Rassemblement pour la République (RPR) di Jacques Chirac, che prese il 19,88% dei voti. Il voto di oggi è però considerato più significativo, perché né il PS né l'Union pour un mouvement populaire (UMP, il partito neogollista successore del RPR) hanno abbastanza potere per frenare l'ondata del FN. Entrambi hanno leader poco carismatici - Hollande da un lato, Jean-François Copé dall'altro - e hanno sbagliato del tutto la campagna elettorale, puntando più a demonizzare il FN invece che ascoltare i problemi dei cittadini francesi. Senza idee e verve il PS, diviso e frammentato l'UMP. Risultato? La vittoria del FN, che rende ancor più complicato per la Francia il processo di riforme strutturali dal quale non è esente. Anzi, come scrive Le Monde nel suo editoriale, «l'affermazione di Marine Le Pen crea l'illusione che la Francia sarà riformata, ma è solo un sogno perché, dietro alle urla e ai proclami, il FN non ha idee tali da rinnovare il Paese». Dalla padella della scarsa competitività alla brace del radicalismo politico, il passo è stato breve.

Il giorno dopo Parigi è ancora intontita dal FN, ma sia PS sia UMP hanno convocato i rispettivi comitati di crisi. L'obiettivo è solo uno: evitare che la Francia sia la patria dei nazionalismi e degli estremismi. Per fare questo, spiega a Panorama una fonte diplomatica francese, occorre fare tabula rasa, azzerare i vertici e ripartire. E c'è spazio anche per una piccola invidia nei confronti dell'Italia: «Vedi, voi avete avuto Renzi, con il risultato che si è visto. Noi, al massimo, possiamo produrre Valls».

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Fabrizio Goria

Nato a Torino nel 1984, Fabrizio Goria è direttore editoriale del sito di East, la rivista di geopolitica. Scrive anche su Il Corriere della Sera e Panorama. In passato, è stato a Il Riformista e Linkiesta e ha scritto anche per Die Zeit, El Mundo, Il Sole 24 Ore e Rivista Studio. È stato nominato, unico italiano, nella Twitterati List dei migliori account Twitter 2012 da Foreign Policy.

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