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Se in Europa c'è una guerra, bisogna combatterla

Ancora una volta il terrore colpisce la Francia e la Germania. Ma l'ermaginazione non è più un alibi, è il momento di dare delle risposte

Purtroppo anche l’ultimo mito è sfatato. A colpire in Francia e Germania non sono più solo connazionali di seconda e terza generazione. Sempre di più si tratta di rifugiati e richiedenti asilo, particelle assassine che hanno seguìto il flusso delle migrazioni e che ora attaccano luoghi e situazioni incompatibili con una rigida interpretazione dell’Islam. Calcio e musica nel mirino.

L’Europa impara a coabitare col terrorismo di matrice islamica, come Israele da decenni coabita col terrorismo di matrice antisemita per lo più palestinese. Certo, la normalità della vita è più forte di questa guerra a pezzetti, di questo 11 settembre a rate. Però dentro di noi cambia qualcosa. Abbiamo paura di andare in luoghi affollati, vorremmo non reagire con ansia, angoscia, sgomento, ma nel decidere gli spostamenti quotidiani, la destinazione dei nostri viaggi, la nostra ricreazione, il panico si intrufola nella mente contro la nostra volontà. Condiziona le nostre scelte. Incide sui nostri umori, sul nostro stile di vita. Contro il panico c’è poco da fare. Non si obbedisce razionalmente, automaticamente, all’ovvietà che il terrorismo non si può dribblare e che è sciocco pensare di poter schivare l’attentato o ingannare i kamikaze. I nostri sguardi sul mondo sono quelli dell’animale che fiuta il pericolo, che si muove con circospezione per evitarlo. C’è un ricordo, un’immagine, che mi torna alla mente dagli anni in cui ero inviato di guerra: la gente che corre contro i muri ed evita gli incroci.

Se calcio e musica sono nel mirino, andare allo stadio o a un concerto non è più uno svago ma una sfida. E sotto la patina di una sensibilità evoluta che ripudia la violenza, scrostandola vedi la striscia di sangue seminata da questi jihadisti. Guerriglieri che ci piace dipingere come folli e disadattati, “con problemi psichiatrici”, addirittura omicidi perché vittime di bullismo. Spiegazioni che ci aiutano a accettare la furia islamista, derubricandola a raptus psichiatrici. Di fronte ai nostri occhi, senza la censura che regimi come quello turco impongono alla Rete, si snodano le immagini di corpi imbrattati di sangue, di persone come noi, vecchi donne giovani bambini, in una lunga macelleria del terrore.

L’Europa si affida all’Intelligence. Che non sempre funziona, che non sempre può funzionare. E fronteggia incubi e fantasmi materializzatisi da errori del passato: come la creazione in Francia di periferie-ghetto fuori controllo, inavvicinabili perfino dalla polizia, frutto di una fallimentare politica dell’assimilazione. Demonizzare forze nazionaliste e identitarie come quelle che stanno prendendo piede nei vari paesi europei non basta a esorcizzare il pericolo o a frenare la deriva “reazionaria” di un’Europa che si illude di poter alzare muri e rintanarsi nelle proprie frontiere quando ha già spalancato le porte: il nemico interno ormai è tra noi. Smettiamola con l’idea dei “lupi solitari”. Perfino il diciottenne bullizzato di Monaco aveva nella borsa una Glock 9 e 300 proiettili. Ognuno di questi “lupi solitari” ha attorno a sé una rete più o meno estesa di complici e di reclutatori (anche a Nizza).

Ci vogliono nervi saldi e risposta militare, polizia efficiente ed educazione dei cittadini alla difesa civile, Intelligence capillare e senso d’appartenenza a una comunità, orgoglio di essere una democrazia e determinazione nel volerla difendere. E poi, basta chiacchiere. L’emarginazione non è un alibi, l’integrazione economica non ci salva dalla guerra di religione. Come altre volte nella storia, dobbiamo proteggere i nostri figli e il nostro modello di vita. È una guerra, va combattuta.

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EPA/SVEN HOPPE
Il McDonalds vicino al centro commerciale di Monaco di Baviera, dove 9 persone sono state uccise.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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