Scuola: la riforma è giusta ma le aspettative erano altre
Bene le assunzioni ma sarebbe stato meglio definire cosa andranno a insegnare. Manca una riforma completa della proposta formativa
Si chiama “buona scuola” ed è bene che la riforma sia passata. Bene che il governo abbia posto la fiducia, anche per scoraggiare la fronda interna del Pd che da sinistra pretendeva di bloccare tutto, essenzialmente per ragioni di confronto interno.
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Il solo fatto che sia diventata simbolo della rivolta la voce di un insegnante per il quale le radici della scuola attuale affondano nella Resistenza, e che rivendica d’aver sempre votato a sinistra seppure “deluso”, mi fa pensare che la riforma sia giusta: mi fa rabbrividire l’idea che l’insegnamento per qualcuno possa essere una forma di propaganda politica.
La mia idea di scuola rifugge dalle ideologie, ha a che fare con la cultura e la formazione della persona, e mi piacerebbe che l’esercizio di tutte le funzioni pubbliche (a partire da quella giudiziaria) prescindessero dagli schieramenti di partito.
Sembra invece che il punto qualificante della riforma sia l’assunzione di oltre 100mila precari. E questo non depone a favore. La “riforma Gentile” pose in un altro secolo e un’altra epoca le basi della scuola secondaria, creando un sistema ben rappresentato dall’eccellenza del liceo classico. Era un progetto formativo, non certo solo amministrativo. Quella riforma aveva un visione che, mutati i tempi, non ha quella attuale.
Sia chiaro, la riforma di Renzi non è sbagliata, la direzione è quella giusta: autonomia degli istituti, responsabilità dei presidi, introduzione del merito (e della valutazione di insegnanti, presidi e scuole) e fondi per le strutture e l’aggiornamento professionale. Ma resta una riforma parziale, troppo timida rispetto a ciò di cui gli studenti italiani avrebbero bisogno. Ben altre erano le aspettative.
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Il merito è sovrano, per esempio, negli Stati Uniti, dove la parola “competizione” ha un suono dolce, positivo. Là sono gli studenti a scegliere i professori e le materie, e gli insegnanti incapaci di generare entusiasmo o trasmettere contenuti rimangono senza classe di fatto “perdendo la cattedra” (in Italia non succede praticamente mai), il rapporto tra gli studenti e i loro professori è diretto e continuo, la scuola è una vera comunità, la tecnologia è strumento di tutti i giorni (a cominciare dalle comunicazioni via email), gli istituti sono realmente “aperti” a mille iniziative (ma occupare le scuole è illegale).
Sia chiaro: le nostre scuole continuano a formare studenti ben strutturati, grazie anche a un retroterra nel quale si respira una cultura millenaria. Ma dal punto di vista del “mercato” della formazione e dell’accesso al lavoro, delle chance offerte ai ragazzi, il sistema attuale sforna per lo più candidati alla disoccupazione e allo sbandamento. L’età media dei nostri professori è di gran lunga la più alta d’Europa. Le regole sindacali e burocratiche fanno sì che gli insegnanti senza più “voglia” di insegnare possano usufruire di tutta una serie di sotterfugi amministrativi per “bigiare” la scuola ben più dei loro alunni. E non esiste alcuna valutazione dei risultati conseguiti nei singoli insegnamenti (e istituti) secondo criteri oggettivi.
Nella riforma non c’è ancora una proposta formativa completa, organica, moderna. Prima di assumere, sarebbe stato più logico definire che cosa andranno a insegnare i nuovi assunti.
Bene la timida introduzione di un’alternanza scuola-lavoro alla fine del percorso (anche se qualche sindacalista s’è affrettato a denunciare lo “sfruttamento del lavoro minorile”). E bene che i privati possano fare donazioni. Peccato che l’autonomia dei presidi e l’abbozzo di sistema di valutazione dei professori attraverso i comitati misti non siano fondati su criteri meno soggettivi. Si sa come funzionano le cose in Italia: ogni riforma deve fare i conti con la realtà, che è fatta di complicità e piccoli arrangiamenti. Infrangere il muro delle incrostazioni burocratiche non è facile. Bisogna accontentarsi di smontarlo mattone per mattone. Ma un buon inizio non è ancora un successo. Potremo applaudire solo quando il focus della riforma sarà davvero centrato sul futuro degli studenti.