Romney-Obama, estetica di un duello
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Romney-Obama, estetica di un duello

Sguardo look, body language: anche qui lo sfidante ha battuto ai punti un Obama apparso invece con una maschera da perdente

Incalzante, ironico, a tratti aggressivo ma sempre concreto e nelle righe, sicuro di sé, non spavaldo, appassionato nella difesa del ceto medio, quello che fa la differenza nella corsa alla Casa Bianca. Mitt Romney pareva alle corde nella percezione della pubblica opinione, nei sondaggi, nella raccolta di fondi (sempre un’utile cartina di tornasole delle chance di riuscita dei candidati), ma nel primo dei tre duelli televisivi con il presidente Barack Obama, è lo sfidante repubblicano a mettere a segno un inatteso strike. Un sondaggio a caldo della Cnn conferma: per il 67 per cento degli intervistati è Romney il vincitore, e solo per il 23 per cento Obama.

Parla il corpo, prima di tutto. Il body language, anche astraendo da parole e contenuti, tradisce e rivela l’attitudine del leader, la sua capacità di fare presa, di apparire come l’uomo in grado di rappresentare “l’America”. Mitt non perde mai il sorriso e rifila fendenti rivolgendosi direttamente a Obama, poco al moderatore della Pbs Jim Lehrer, e poco alla telecamera, e quindi appare meno impostato e più franco, più sicuro, e punta lo sguardo sull’avversario con una mimica da combattente concentrato.

Obama invece, è il volto del Potere infiacchito dall’uso del potere stesso, che snobba l’avversario e non gli parla in faccia, si rivolge al moderatore, incassa l’incalzare di Mitt sulle parole, sui numeri, a occhi bassi. Obama accusa i colpi senza reagire, lo sguardo giù, un sorriso che è una smorfia da pugile sofferente, con la dolcezza amara, rassegnata del perdente, di chi sa che regala punti ma non è in grado di rintuzzare gli affondi.

Obama è la maschera del potere che ha fallito, deluso, del governo che non ha saputo corrispondere alle aspettative del popolo. L’immagine di un non-leader. Mentre Romney non demorde mai, riesce a conquistare la parola e a difenderla, non si stanca di cogliere le occasioni del dibattito, mescolare nella giusta dose i numeri e la passione incurante del fatto che Obama non gli rivolge la parola e non lo guarda negli occhi.

Mitt parla dritto a Barack. Obama, nel tentativo di dare all’America l’immagine del presidente solido che non si cura di chi è spanne sotto il suo prestigio e la sua leadership, ma risulta opaco, remissivo, inesorabilmente sulla difensiva. Anche le piccole differenze di look sembrano cucite su misura del vincente e del perdente, del potente e del popolare: abito per entrambi, ma impersonale cravatta blu democratica col solito nodo gonfio degli americani per Obama, e abito ma con una vivace e incisiva cravatta d’un rosso non sgargiante ma originale per Romney, che sfoggia una spilla con bandiera americana come quella di Barack, solo che la sua è un regalo dei servizi segreti con tanto di logo.

Michelle Obama è la persona che soffre di più, anche più del marito, in prima fila nel ring universitario di Denver, nel suo vestito blu indaco dello scorso autunno del designer londinese Preen. Non è certo il modo migliore di festeggiare il ventesimo anniversario di matrimonio, anche se Barack ha esordito ringraziando la donna che, sposandolo, lo ha reso “l’uomo più fortunato del mondo”. Poteva essere un buon inizio, subito neutralizzato dall’ironia di Romney che conforta la coppia presidenziale osservando che non c’è modo più romantico di festeggiare l’anniversario, “qua con me”.

Insomma, Romney è riuscito, nei contenuti e nell’approccio, a trasmettere una maggiore sintonia con la sofferenza viva degli americani in una crisi se non provocata, comunque non abbastanza contrastata da Obama, mentre quest’ultimo è apparso nei panni del Presidente depotenziato da 4 anni di insuccessi, incapace di rivestire quelli con i quali aveva galvanizzato gli Stati Uniti nel 2008.

Nell’ansia di apparire rassicurante e non scadere sul piano del rivale, ha perso l’occasione d’infilzare Romney sui suoi punti deboli: il passato di affarista elusore fiscale, le promesse economiche poco credibili, le gaffe internazionali. Romney, invece, si è presentato non come il portavoce dei ricchi conservatori, ma come l’alfiere di una classe media crushed, distrutta dalla politica, depressa, tartassata. E ha indicato con chiarezza la priorità della sua ricetta: recuperare i posti di lavoro “uccisi” da Obama, la crescita, la ripresa (quel “rialzare la testa” che è sempre stata la carta vincente di tutti i candidati alla presidenza nei periodi incerti della storia americana) attraverso il taglio della spesa pubblica e la diminuzione delle imposte. Il presidente, invece, sembrava stordito, annichilito.

Sean Hannity, conduttore di Fow News, ha sintetizzato bene su Twitter: “Presto, qualcuno dia un teleprompter a Barack Obama…”. Il suggeritore elettronico. Barack sembrava voler essere altrove, magari a cena al lume di candela con la first lady. Lontano dal ring e dalla sferza di Mitt. Lontano dall’incubo della sconfitta. Anche se, dopo tutto, il favorito resta lui.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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