Monti e l'incoerenza sul calcio
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Monti e l'incoerenza sul calcio

Prima la proposta di chiusura del pallone, domani in tribuna a Kiev. Stare a casa?

“Sono felice e orgoglioso per il successo della Nazionale. Sarò a Kiev per la finale”. Punto. Ma come?

Appena un mese fa, anche allora al termine di un vertice internazionale (il bilaterale con la Polonia), il presidente Monti aveva detto che il calcio in Italia era ormai “un malcostume continuo, col moltiplicatore di tutta l’attenzione che il calcio giustamente merita”.

Certo, essendo il calcio lo sport nazionale e un’attività privata, nessun governo, anche moralista o falsamente moralista come quello dei tecnici, potrebbe mai proibirlo per legge. Così Monti aveva precisato: “Non sto facendo una proposta, men che meno una proposta che viene del governo, ma è un desiderio che qualche volta io, che sono stato molto appassionato di calcio anni fa, dentro di me sento: per due o tre anni per caso non gioverebbe molto alla maturazione di noi cittadini italiani una totale sospensione di questo gioco”.

Monti desiderava in cuor suo, per la nostra maturazione, che il pallone fosse bandito dagli stadi non per una o due domeniche, ma per due o tre anni. Soltanto. Per diventare migliori.

Il calcio per Monti, un mese fa, era talmente marcio in Italia e rispecchiava così fedelmente nella sua visione i peggiori difetti della nazione, che era addirittura peggio della politica.

“È così facile per la grande maggioranza dei cittadini localizzare tutti i mali dell’Italia nella politica, ma è un errore: ci sono gravi difetti nella politica, ma in un Paese non esiste tra politica e società civile quella separatezza che a volte i membri della società civile trovano comodo pensare che esista”. Monti parlava dopo l’incontro col premier polacco, Donald Tusk. Una cornice importante. Per un discorso di rottura, forte, tutt’altro che solo provocatorio. Usando parole mai usate prima. Tecnicamente si direbbe un’invettiva. E infatti così continuava: “È particolarmente triste quando un mondo che deve essere espressione di valori alti, si dimostra un concentrato di aspetti tra i più riprovevoli come la slealtà, l’illegalità e il falso”. Ehi, ehi, vacci piano Prof, verrebbe da dire. Non sarà che fai di tutta l’erba un fascio?

Certo, anche allora c’era stato chi s’era tolto la maglietta, ma per ragioni completamente diverse da Super Mario Balotelli a Varsavia. Il “fenomeno indegno” citato dal premier era quello della sospensione di Genoa-Siena e degli ultrà che avevano intimato ai calciatori del Genoa di spogliarsi. “Un invisibile ricatto pieno di omertà, manifestazione spaventosa di soggezione a poteri occulti”. Poi l’affondo, oltretutto tecnicamente infondato: “Trovo inammissibile che si usino soldi dei contribuenti per ripianare società di calcio”.

È trascorso un mese da allora e la vittoria 2 a 0 sulla Germania ha fatto ritrovare al Professore, in una notte, la passione per il calcio inaridita “anni fa”, gli ha fatto dimenticare l’intimo desiderio di proibire “totalmente” le partite, gli ha suscitato la brama di essere in prima fila sugli spalti a urlare e applaudire l’immondo calcio italiano, gli ha inibito l’intento pedagogico di migliorare gli italiani cancellando per anni la quintessenza italiota di “slealtà, illegalità e falso”.

Ci fu pure chi gli diede credito, allora, per esempio Corrado Augias su “Repubblica” nella rubrica delle lettere: “Il presidente del Consiglio ha interpretato un sentimento largamente diffuso. Per un lungo periodo no, ma forse sarebbe possibile saltare un giro, giusto per dare un segnale”. Chissà che cosa scriverebbe oggi Augias.

Ecco, un segnale è arrivato, ma forse non quello che ci si aspettava. Smemorato come spesso lo sono i professori, Monti ha preso il pallone al balzo e mostrando orgoglioso i muscoli alla Balotelli, senza avere il fisico né la schiena dritta, ha urlato stentoreo e fasullo il suo “po po po”. Perché in fondo l’incoerenza che cos’è: un trascurabile infortunio tecnico.

Caro Professore, se davvero aveva appeso al chiodo la passione calcistica qualche lustro fa, e se fino a un mese fa voleva solo oscurare quel mondo marcio, ci dia un segnale di rigore vero o di elementare coerenza con se stesso: ci eviti la sceneggiata di un tifo che non le appartiene. Oltretutto, come sugli aerei porta male chi ha fastidio a volare, non portano bene i tifosi arrugginiti e poco convinti. In una parola: opportunisti.

Per favore, Prof, non ci vada alla finale.  

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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