Ma sforare il deficit non è antieuropeo
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Ma sforare il deficit non è antieuropeo

Chiedendo una politica meno rigorista, l'ex premier Berlusconi ha chiesto un ripensamento della costituzione Ue. L'obiettivo sono gli Stati Uniti d'Europa  la fine della supremazia tedesca

 

Allora, è successo che Silvio Berlusconi, in contemporanea con il vertice G8 in Irlanda del Nord ha sollecitato il governo a dire all’Unione europea: “Il limite del 3% l’anno ve lo potete dimenticare… Ci volete mandare fuori dalla moneta unica? Fatelo. Ci volete mandare fuori dall’Europa? Vi ricordiamo che noi versiamo 18 miliardi di euro l’anno e ce ne ridate indietro solo 10”. Be’, è vero, nel linguaggio e nei contenuti si tratta di un’uscita forte. Tanto che il commissario europeo Olli Rehn (che mai ci ha amati e men che mai ama Berlusconi) si è precipitato a chiedere a Roma rassicurazioni. E Palazzo Chigi le ha date: “Rispetteremo il limite del 3% di deficit”. Punto. Da bravi scolari. Da obbedienti partner europei. E giù critiche da sinistra contro l’anti-europeismo, ovvero euroscetticismo, di Berlusconi che si sarebbe mosso, al solito, come un elefante in un negozio di cristalli. Sarà, ma quante ipocrisie sull’Europa (e sull’europeismo).  Non è accettabile che le parole affibbiate come etichette all’avversario politico si inverino da sole come mantra mediatici ripetuti all’infinito: Berlusconi euroscettico, la sinistra europeista. Non è così.

A parte che c’è una forte componente della sinistra realmente euroscettica, anticapitalistica, anti-occidentale, e fautrice dell’uscita dall’Euro, nessuno può sostenere che Berlusconi sia anti-Euro e anti-europeista, e neppure euroscettico nel senso della critica all’integrazione europea (anzi). Più volte, invece, ha sollecitato un cambio di marcia nella politica europea, in direzione addirittura degli Stati Uniti d’Europa. Prima contro i lacci e i laccioli della “burocrazia di Bruxelles”, poi contro le genuflessioni ottuse a una linea che si sta rivelando fallimentare di solo rigore che distingue (in negativo) l’Europa, e in particolare l’Eurozona, dagli Stati Uniti e dal Giappone. Washington e Tokyo hanno adottato infatti tutt’altra politica: espansiva, proprio in considerazione della permanente situazione di crisi. È una vecchia regola che in recessione si debba investire.  

C’è da fare chiarezza sul concetto di Europa. Anzitutto, l’Europa non è (o non dovrebbe essere) la burocrazia di Bruxelles, di Strasburgo, in generale degli organismi europei. Quello è semplicemente un apparato di stampo ministeriale e amministrativo. L’Europa non è neppure un numero limitato di paesi europei che ne definiscono la linea e la collocazione nel mondo. Per esser chiari, l’Europa non è la Germania. Non era l’asse Germania-Francia ai tempi dell’alleanza strategica tra Berlino e Parigi. Non è un singolo blocco (per esempio l’Europa del Nord, ossia la Germania e i suoi satelliti). Allo stesso modo, non è l’Europa del Sud o “i nuovi europei”. Non è il Mediterraneo né il Baltico.

Berlusconi è stato l’unico leader italiano che abbia avuto il coraggio di minacciare seriamente il veto durante negoziati cruciali nella UE che mettevano in gioco i nostri interessi. Ha condotto una dura battaglia per rendere meno stringente il Patto Fiscale, anche se ha accettato l’anticipo del pareggio di Bilancio al 2014. E ha fatto valere il peso dell’Italia come grande paese fondatore della Ue sia ai tempi della guerra in Iraq, quando si è di fatto schierato con Gran Bretagna, Spagna e Portogallo al fianco degli Stati Uniti, sia quando ha tentato (senza neppure avere l’appoggio della Francia di Sarkozy) di contrastare il rigorismo tedesco in tempi di crisi. Non di rado le sue posizioni controcorrente sono state riconosciute come ragionevoli, dopo. Siamo proprio sicuri, per esempio, che la guerra in Libia sia stata una scelta giusta? O ha avuto come conseguenza quella di creare una forte destabilizzazione del Nord Africa e regalare smalto e potere, politico e militare, ai gruppi alqaedisti? Ed era poi così campata in aria la crociata di Berlusconi per una Banca centrale europea che avesse le stesse prerogative di analoghi istituti in Usa, Gran Bretagna e Giappone?

Semmai, a Berlusconi si può rimproverare di non aver tenuto fermo il punto quand’era il momento, e di non aver portato a termine il programma di riforme liberali che si era prefissato. Ma le posizioni che ha preso le ha dovute difendere, finché ha potuto, non solo contro le opinioni contrarie di alcuni importanti partner europei, ma anche contro l’opposizione feroce e pregiudiziale di chi oggi si straccia le vesti per le sue dichiarazioni non più da premier, ma da leader del Pdl.

Invece di reagire rabbiosamente a ogni uscita di Berlusconi, vogliamo discutere seriamente dell’Europa e del ruolo dell’Italia in Europa?  

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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