La legge di stabilità annunciata che ancora non c'è
PAOLO CERRONI / Imagoeconomica
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La legge di stabilità annunciata che ancora non c'è

Renzi annuncia meno tasse più crescita. Ma i numeri veri devono essere ancora formulati. E questa volta, se non ce la si fa, saranno guai seri

Penserete forse, leggendo i giornali, che la legge di stabilità esista già. Che abbia un volto, un testo, perfino qualche dettaglio. E, certamente, i numeri: 30 miliardi complessivi di manovra, 18 di minori tasse, 6 solo per sfrondare l’Irap sulle imprese, sgravi alle aziende per un miliardo in tre anni sulle nuove assunzioni, 16 miliardi recuperati attraverso la revisione della spesa anche se una parte viene fatta rientrare nella lotta all’evasione fiscale (che non è propriamente una spending review), mentre 3 miliardi proverrebbero da minori acquisti di beni e servizi. Confermati i bonus in busta paga (80 euro resi strutturali) e quelli energia e per le ristrutturazioni. Tutto questo lo ha annunciato (sottolineo: annunciato) Matteo Renzi, e in parte anche il sottosegretario Graziano Delrio in un’intervista al Corriere della Sera.

Renzi: ecco la mia legge di stabilità


Il dato fondamentale, quello che dà un’identità precisa, nuova alla legge di stabilità (penserete ci sia già) è che verrebbe fatta in deficit per 11,5 miliardi. Insomma, il governo non rispetterebbe l’impegno alla riduzione strutturale del deficit limitandosi a un consolidamento minimo e prediligendo invece, per la prima volta, una filosofia espansiva. Il che porterebbe inevitabilmente l’Italia a dover sostenere un duello tutt’altro che facile con l’Europa governata dal rigorista cancelliere tedesco Angela Merkel attraverso le posizioni chiave economiche nella Commissione e nel Consiglio, tutte scientificamente occupate nei mesi scorsi mentre l’Italia si concentrava su quella pressoché di facciata di Madame Pesc.

Una sfida all’Europa anch’essa annunciata. La legge di stabilità in realtà non esiste ancora, i numeri ufficiali li avremo solo oggi pomeriggio, e i dettagli (che in tanti casi sono decisivi e possono cambiare volto e natura dei provvedimenti) richiederanno un’altra settimana per definirsi.

Se i numeri nudi e crudi fossero questi, e se gli annunci fossero seguiti dai fatti, bisognerebbe riconoscere che Renzi ha avuto il coraggio di fare una legge di stabilità in controtendenza rispetto a quelle passate, abbassando le tasse, aumentando il deficit, puntando sulla crescita invece di piegarsi ai diktat dell’austerità continentale. Ma è così? E, soprattutto, qual è l’entità reale dei tagli alla spesa pubblica che erano stati promessi nella misura di 30 miliardi in tre anni? Se ci guardiamo intorno, per esempio nel mondo caotico delle partecipate (caotico e tuttavia funzionale alla distribuzione di benefici politici e economici agli amici degli amici e “clienti” di partito), ci accorgiamo che l’andazzo è quello di sempre.

L’“annuncite” che espone pubblicamente la legge di stabilità prima di “darla alle stampe” non è mai un modo particolarmente serio di governare. Certo, critiche e opposizione di Bankitalia, Corte dei Conti, uffici parlamentari, magistrati e sindacati (poteri forti arroccati a difesa delle proprie prebende) depongono a favore di Renzi, così come la speranza di non trovarci di fronte all’ennesimo bluff dopo i tanti degli ultimi anni. Però è il condizionale a prevalere.

Se son rose fioriranno, ma se le riforme tanto sbandierate si riveleranno alla fine inconsistenti e fasulle, e non sarà avviata un’autentica e radicale riforma del carrozzone dello Stato in senso liberale, prevarranno le spine e a quel punto saranno dolori (e che dolori!) per tutti.

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