Diffamazione: da oggi l'Italia è un paese più libero
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Diffamazione: da oggi l'Italia è un paese più libero

La nuova legge che abolisce il carcere per i giornalisti non è solo un vittoria della categoria. Ma è di tutti - La "battaglia di Panorama"

Oggi è una bella giornata per il giornalismo e soprattutto per la libertà. Anche se in ritardo rispetto ai 100 giorni che ci eravamo dati a Panorama come termine per veder approvata la riforma della legge sulla diffamazione a mezzo stampa saluto con grande soddisfazione il voto della Camera dei deputati che abolisce il carcere per i giornalisti.

La nostra campagna - condotta, salvo alcune lodevoli eccezioni, in beata solitudine -  era iniziata dopo la sentenza che nel maggio scorso condannava in primo grado un giornalista e un collaboratore di Panorama a un anno di reclusione per diffamazione e il direttore a otto mesi di reclusione per omesso controllo. E’ bene ricordare che né al giornalista, Andrea Marcenaro, né a me il giudice ritenne di concedere la sospensione condizionale della pena. A questa sentenza se ne aggiunse un’altra a luglio nei miei confronti, emessa sempre a Milano, di ulteriore condanna a otto mesi di reclusione senza sospensione condizionale della pena e sempre per omesso controllo. In entrambi i processi a sporgere querela erano stati magistrati.

Con sedici mesi di reclusione sulle spalle decisi di non presentare Appello – e conseguentemente di far divenire definitiva e dunque esecutiva la sentenza – se il Parlamento non avesse riformato una legge antistorica, di chiaro stampo liberticida e più volte censurata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Solo oggi, dunque, i miei avvocati hanno depositato i motivi di Appello in contemporanea con il voto del Parlamento e a pochissimi giorni dalla scadenza dei termini. Sarei andato in carcere a testa alta e in silenzio, ribadisco, se non fosse arrivato questo importante segnale dalla Camera dei deputati: i princìpi non sono materia su cui è ammesso alcun tentennamento.

Ringrazio tutti i parlamentari che, in commissione Giustizia prima e in aula poi, hanno sostenuto convintamente questa battaglia di civiltà. Sono certo che in Senato lo stesso schieramento si ritroverà compatto per votare definitivamente la legge al più presto e comunque entro il 2013. Alla fine di questo percorso l’Italia si potrà finalmente dire un Paese un po’ più libero.

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Giorgio Mulè