Le reticenze ipocrite del Pd sul compagno G
ANSA / DANIEL DAL ZENNARO
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Le reticenze ipocrite del Pd sul compagno G

Tutti, da Renzi a Poletti, guardano dall'altra parte come se Primo Greganti fosse un ufo

C’è una curiosa, curiosissima lettura dello scandalo esploso con gli arresti per gli appalti di Expo 2015. E c’è, soprattutto, una gigantesca omissione (omertà, stavo per dire) sul ruolo di Primo Greganti, il granitico compagno G, legato a doppio filo con la sinistra, che segnò Mani pulite negli anni Novanta. La curiosissima lettura risiede nel fatto che dagli attuali dirigenti del Pd non è giunto uno straccio di autocritica sulle disinvolte scorribande criminali contestate al compagno G, mentre la gigantesca omissione consiste nel fatto che i medesimi dirigenti del Pd fingano di non sapere quanto attuale e profondo sia il legame tra il faccendiere e il partito.

Il primo a voltarsi dall’altra parte e fischiettare come se nulla fosse è il segretario, cioè Matteo Renzi, seguito a ruota dal suo ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, presidente della Lega delle cooperative fino a febbraio scorso, quando il premier lo volle fortissimamente al governo. Eppure, a Renzi, campione di moralismo a parole, sarebbe bastato leggere le prime pagine dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice di Milano. A pagina 2, per esempio, Greganti è definito persona di «raccordo con il mondo politico». Per capire di quale «mondo politico» si parli basta arrivare a pagina 23 dove si scopre che Greganti è «legato (verbo presente, non trapassato remoto, ndr) al mondo delle società cooperative di “area Pd” ». Che faceva? Garantiva, dice il giudice, «la fondamentale attività di “copertura” e “protezione” politica in favore sia degli imprenditori (..) sia dei pubblici ufficiali». E lo faceva, spiega il magistrato, grazie «all’attuale capacità di relazione e influenza e alla riconosciuta caratura politica».

Bastano queste poche frasi espunte dal compendio del malaffare cresciuto all’ombra di Expo per desumere che, a parere della Procura di Milano e del giudice, Greganti fosse l’uomo che le coop usavano scientemente per ottenere appalti in barba alle regole e soprattutto grazie al fatto che lui assicurasse – fino al momento dell’arresto e cioè quando Renzi era già saldamente alla guida del Pd – «copertura» e «protezione» politica in nome e per conto del Partito democratico. A fronte di queste, gravissime accuse, né il segretario-premier né il suo ministro del Lavoro già presidente di Legacoop hanno avuto un sussulto di imbarazzo o di rossore. Renzi si è esercitato nell’arte in cui eccelle: ha fatto casino e ha buttato la palla altrove. I suoi «fedelissimi», a cominciare dai gggiovani tuttidiunpezzo che gli fanno corona in segreteria, gli sono andati dietro come pecorelle. Noi, spiacenti, questa sbobba non ce la beviamo. E a Renzi diamo un consiglio, ovviamente non richiesto: invece di dirottare il dottor Cantone, già pubblico ministero antimafia, sulla task force anticorruzione per l’Expo, gli chieda di attivarsi per fare pulizia all’interno del suo partito. I sotterranei del Pd custodiscono ancora, come dimostra Greganti, troppe collusioni e troppe compromissioni. Chi si aspettava dal nuovo segretario anche la rottamazione del più vecchio vizio della politica, quello di rubare, non può che rimanere deluso. Sul torrione del Nazareno sventola ancora, alta e arrogante, la bandiera dell’ipocrisia.  

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Giorgio Mulè