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L'Isis in Libia, l'Occidente in panne

L'occupazione di Sabratha è il segno di una nuova strategia del Califfato. A cui per ora Europa e Usa rispondono solo con idee confuse

L’Isis fa la parata dei suoi pick-up con le bandiere nere e le canne delle mitragliatrici puntate ad alzo zero nella città di Sabratha, 70 chilometri a ovest di Tripoli e a 30 dal confine con la Tunisia.

A Sirte, intanto, pare smentita la notizia dell’arrivo del gran capo del Califfato, Abu Bakr al-Baghdadi. Ma basta a non farci dormire sonni tranquilli l’ipotesi che il quartier generale dello Stato Islamico possa aver traslocato dalla Siria (sottoposta ai raid russo-francesi) alla Libia che, per usare l’espressione che fa da titolo all’ultimo libro dell’ambasciatore Sergio Romano, è un po’ la nostra “quarta sponda” sul Mediterraneo, a poche centinaia di chilometri da Lampedusa.

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Accordo o non accordo

Ma quel che più preoccupa è l’impossibilità, quattro anni dopo la defenestrazione e uccisione tramite linciaggio di Gheddafi, che la Libia riassuma la forma di uno Stato con un governo centrale e istituzioni che funzionino, esercitando la sovranità politica e amministrativa su quel grande territorio ricco di risorse naturali, strategico nel Nord Africa, che è la nostra ex colonia e “amica”.

Si continua a favoleggiare di un accordo possibile, di possibile date di un accordo probabile, e della provvidenziale prossima formazione di un governo di unità nazionale. C’è perfino una scadenza, il 16 dicembre, per la firma dei parlamentari di Tobruk e di Tripoli, l’un contro l’altro armati, per un governo di unità nazionale, e quella del 24 dicembre come regalo natalizio di cui ci gratificherebbero (finalmente) le Nazioni Unite con una risolutiva risoluzione sulla Libia.

A me pare che al momento di concreto ci siano solo Kalashnikov, lancia-missili a spalla antiaerei, caccia-bombardieri, pick-up, carri armati, foreign fighters. E dietro, un fronte di nazioni in guerra pronte a estendere il raggio delle operazioni (per esempio Russia e Francia) e nazioni invece contrarie all’intervento, tuttora fiduciose nella “soluzione politica”.

Barbarie contro civiltà confusa

Domanda: chi pensate che prevarrà alla fine? Il Califfato, che ha un progetto chiaro e una strategia che non conosce requie, incertezze o compassione, oppure quella strana accozzaglia di leader e interessi che è l’armata di Paesi che si sono scagliati contro Raqqa, nel Califfato in Siria, e che minacciano col premier francese Manuel Valls di intervenire anche in Libia?

Chi avrà la meglio tra la barbarie espansionista dell’Islam sciita di Al-Baghdadi e la titubanza cronica del presidente USA Obama? Il quale da un lato si astiene da qualsiasi intervento diretto sul terreno, dall’altro dichiara “siamo in guerra”?

In Libia, paradossalmente, il vero elemento di stabilità oggi sono i pozzi petroliferi dell’ENI, radicati nel Paese e tali da far vivere molti libici. Un ulteriore elemento di stabilità è il governatore della Banca centrale, che garantisce la redistribuzione di quegli utili del petrolio a tutte le fazioni.

Ma ciò che conta sono i rapporti di forza. Quand’è che ci risveglieremo dall’“abboffata” di analisi strategiche e miraggi diplomatici e ci renderemo conto, realisticamente, della degenerazione di una situazione e dell’ormai irrimediabile discesa verso il baratro di una guerra civile permanente, di fronte alle nostre coste?

Sabratha, patrimonio Unesco

Sabratha
ANSA/MOHAMED MESSARA
Il sito archeologico della città romana di Sabratha, sul mediterraneo, a 67 km da Tripoli in Libia. È patrimonio Unesco

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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