Il nuovo linguaggio elettorale di Mario Monti
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Il nuovo linguaggio elettorale di Mario Monti

Asciutto, puntuto, aggressivo: l'ex tecnico usa le parole come armi contundenti

I professori, quando vogliono, sanno essere simpatici. Sono infatti abituati a parlare agli studenti, devono farsi capire possibilmente anche dai somari. Devono sì mantenere le distanze con un linguaggio che non sia quello di tutti i giorni e usare una cadenza, un tono e un lessico un po’ da stregoni. Ma devono anche saper stabilire un contatto, un livello più profondo di comunicazione e scambio emotivo con la platea alla quale si rivolgono. Inoltre, la finezza culturale li predispone all’ironia, o meglio all’humour britannico, leggero e colto ma non meno feroce (sempre che lo vogliano). Ma i giochi linguistici e di potere in accademia non sono meno sanguinosi di quelli del circo massimo elettorale. Ecco perché il Mario Monti tecnico si trova oggi perfettamente a suo agio nei panni del Mario Monti politico. Le sue parole d’ordine sono cambiate. In quanto professore, il Professore è uno che sa recitare (una lezione è sempre un po’ uno show) e adeguarsi a quello che da lui si richiede, piegandosi a una nuova grammatica.

Chi pensava che Monti non sarebbe stato capace di vestire i panni del comunicatore politico si deve oggi ricredere. Intanto, anche da tecnico è stato (sempre) molto politico e molto comunicatore. Il curriculum parla chiaro. Non era rettore della Bocconi, ma presidente. Non era il più alto esperto o dirigente amministrativo della Commissione Europea, ma uno dei Commissari più importati. Ha sempre svolto funzioni politiche, su indicazioni della politica. La sua rete di relazioni con i poteri forti (dalle banche al Vaticano, dalle grandi aziende alle fondazioni internazionali) è il frutto di una formidabile capacità di costruzione di un network personale sapientemente coltivato e gestito.

Che Monti sappia usare bene le parole è un fatto. Le parole, poi, sono tutto: soddisfano ogni esigenza, sono armi di battaglia (anche elettorale).

C’è molto studio, credo, dietro le conferenze stampa e le singole uscite del Professore. Certe frasi sono slogan che difficilmente si possono inventare sul momento. In questo, Monti differisce da Silvio Berlusconi, che è un mago della battuta, un campione del rapporto caloroso con una platea la più vasta e variegata possibile, di popolo e spettatori tv. Monti si rivolge a platee più ristrette, ma nel momento in cui va in televisione la scelta degli slogan è comunque geniale. Basti pensare al battesimo del primo decreto, il “Salva-Italia”. Quella peculiarità gli è rimasta incollata addosso anche quando in molti hanno contestato che Monti fosse davvero un “salvatore della patria” (per alcuni, anzi, è l’opposto). Le frasi che ha coniato lo hanno definito nel suo collocamento politico. Anzitutto, rifiuta le etichette di destra e sinistra. E, di conseguenza, anche quella di centro. In questo modo si lascia aperta la possibilità di sfondare in tutte le direzioni (come Beppe Grillo, e come avrebbe voluto fare in passato anche Berlusconi che è stato forse il primo a dirsi “oltre la destra e la sinistra”).

Al tempo stesso, però, Monti si è caratterizzato come costituzionalmente, orgogliosamente e quasi con intransigenza moderato (un estremista della moderazione) con l’invito ai leader di Pd e PdL, i suoi principali avversari (più l’innominato Grillo di M5S) a “tagliare le ali estreme” o quanto meno a “silenziarle”. In questo modo ha inteso smascherare la vocazione di sinistra di questo Pd e quella populista di questo PdL. Bersani e Berlusconi non a caso si sono affrettati a reagire. Inoltre, nonostante la ritrosia apparente alle apparizioni pubbliche, Monti ha immediatamente occupato la scena televisiva come e più del Cavaliere e del segretario del Pd. C’è chi ha osservato a ragione che “silenziare” è un verbo usato dai militari (lo dice il vocabolario) per indicare l’azione che neutralizza con efficacia le offese nemiche. Monti non è un “buono” (come non lo era Prodi).

Uno slogan perfetto è poi quell’annuncio non di scendere in campo ma di “salire in politica”, certo non estemporaneo. E azzeccata la battuta sulla difficoltà di comprendere la “linearità di pensiero” di Berlusconi. Resta da capire come riuscirà Monti a insufflare nelle parole quel tanto di passione, umanità (sia pure controversa) e calore che finora hanno fatto la differenza nelle campagne elettorali a favore del Cavaliere. Quanto a Bersani, dovrà solo continuare a dare di sé un’immagine rassicurante e bonaria che non lo faccia somigliare troppo a un vecchio dirigente del Pci. Cioè trasmettere quel tanto di banalità che ci si aspetta da un grigio ma solido premier post-berlusconiano.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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