Giorno della memoria: forni e filistei
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Giorno della memoria: forni e filistei

Il 27 gennaio dovrebbe essere una giornata particolare per tutti. Ecco il racconto di una di noi - Foto

Il mio giorno della Memoria

Quando ero piccola, mio padre mi leggeva Maus, il romanzo a fumetti di Art Spiegelman sull'Olocausto. Lettura consigliata, ma non per i bambini. La prima volta che mi lesse Maus avevo sette anni, me lo ricordo perché era la stessa estate in cui imparai a giocare a tennis. Pochi mesi prima mio padre aveva preso il vezzo di raccontarmi anche qualche storiella della Bibbia, ma, da uomo laico qual era, me le raccontava secondo la rivisitazione di Dario Fo in Opera Buffa.

Dei racconti biblici, avevo capito che i filistei erano dei gran cattivoni. Di Maus, che dei gran cattivoni mettevano gli ebrei dentro i forni. M'immaginavo un posto lontanissimo in mezzo al deserto, con una lunga fila di forni identici a quello della nostra cucina coi pomelli arancioni, dove i filistei bruciavano i bambini.

Poi mio padre mi spiegò che erano i nazisti , non i filistei, a mettere i bimbi ebrei nei forni.

Cominciai ad avere degli incubi. I nazisti venivano a casa mia e portavano via i miei genitori, proprio mentre io ero a lezione di tennis. Ogni tanto tornavo in tempo e mi chiedevano chi dei due volevo salvare. In genere salvavo la mamma. Più tardi, quando rilessi Maus, scoprii che anche Art Spiegelman faceva lo stesso incubo, però senza le lezioni di tennis.

Tutto questo, per farvi capire che non ho mai avuto un rapporto facile con la Memoria dell'Olocausto.

Quando frequentavo un movimento giovanile ebraico, da adolescente, c'una commemorazione per le vittime della Shoà ogni anno. Tra aprile e maggio, seguendo il calendario israeliano, perché la Giornata della Memoria non c'era ancora in Italia (credo sia stata istituita nel 2000). Io me ne stavo lì, ad ascoltare gli altri ragazzi che leggevano da un libro i nomi dei milanesi deportati ad  Auschwitz, e mi vergognavo come una ladra. Perché a quei tempi c'era l'usanza di applicare spillette e chincaglierie sulle divise e sulla mia avevo cucito una toppa a forma di pagliaccio e mi pareva un po' una bastardata starmene lì seduta a sentire i nomi di donne, uomini e bambini morti con un pagliaccio che rideva sulla divisa.

Era proprio brutta quella toppa a forma di pagliaccio, però me l'aveva regalata mia nonna. Ora che ci penso, se mi sentivo così a disagio, forse non era solo per la storia del pagliaccio. Il fatto è che non riuscivo bene a spiegarmi che cosa ci facevo lì. Non lì nell'aula magna della scuola ebraica, dicevo in genere. Perché io e altri no? Perché, di tutti i ragazzini ebrei che hanno provato a sbattere nei forni, doveva sopravvivere proprio mio nonno, che poi ha sposato la nonna del pagliaccio? Perché lui, e non un altro dei bimbi i cui nomi stavano leggendo? Magari oggi ci sarebbe uno dei nipoti di quei bambini seduti in aula magna, pensavo, e invece c'ero io, con la divisa e la toppa.

Tutto questo, dicevo, per dirvi che non un rapporto sereno con la Giornata della Memoria. Ma, in fondo, chi ce l'ha? A volte mi chiedo se non siano quelli che riescono a partecipare a una cerimonia per le vittime dell'Olocausto, senza sentirsi nemmeno un po' in colpa, quelli strani.

Comunque, Maus è un gran bel romanzo a fumetti. E non credo che i filistei fossero poi così cattivi.

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Anna Momigliano