Gagliano deve farci paura
ANSA/FRANCO SILVI 
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Gagliano deve farci paura

La vicenda dell'evasione del serial killer a Genova dimostra le falle nel sistema giudiziario e giuridico - L'intervista al magistrato che ha concesso il permesso -

Un serial killer semi-infermo di mente e armato è libero grazie a un permesso “premio”. Ha una pistola. La sua firma è uno sparo in bocca. Non è un film. E’ una verità che dimostra come questo Stato sia alla frutta, marcia. Gravissimo che magistrato di sorveglianza (Leggi la sua intervista ) e direttore del carcere non sapessero che stavano mettendo in libertà “il serial-killer di San Valentino”, per di più definito molto pericoloso dalle forze dell'ordine. E se questo è il modus operandi usato di norma per elargire premi e cotillon ai criminali, e più o meno lo è, dobbiamo individuare anche i veri responsabili e intervenire immediatamente, prima che la gente debba patire violenze inaudite a causa di un sistema assassino e incapace di tutelare i cittadini. 

Se queste modalità vengono applicate anche per i recenti ddl svuota carceri siamo tutti in pericolo. 

Il pluriomicida aveva già tentato di evadere in passato, durante i permessi premio per giunta, ed è quello che possiamo definire un delinquente per tendenza. Mi viene da definire stolto per tendenza uno Stato che reitera provvedimenti premiali verso persone simili. In questi casi, almeno, la legge non dovrebbe contemplare la possibilità di uscire dal carcere per chi ha ucciso e ha un’indole distruttiva. La risocializzazione non deve essere ad ogni costo, anche al costo di vite umane spezzate. Invece, per “non” risolvere un problema come quello del sovraffollamento carcerario in modo strutturale - a partire dalla revisione del sistema rieducativo premiale che ha dimostrato il suo fallimento - si continuano a fare leggi che demoliscono ogni giorno di più la base sul quale uno Stato si fonda: la certezza che se infrangi una legge ne paghi la conseguenza, anche per tutta la vita se serve. 

E non si gridi all'allarmismo gratuito. Il pericolo è tremendamente concreto. Lo Stato, attraverso leggi sbagliate e funzionari distratti, ha lanciato una bomba sulla folla. Non resta che pregare che non accada ancora ciò che è già accaduto con le stesse modalità: permesso premio, evasione, omicidio. 

Ora la politica ha il dovere di parlare seriamente di responsabilità civile dei magistrati - e anche penale se una scelta implica la violenza o la morte verso anche un solo cittadino. Una responsabilità che è, in primis, del legislatore e di un sistema giudiziario folle, che tutela i delinquenti ogni oltre ragione. Ci sono perfino casi di assassini condannati come incensurati (quindi con le attenuanti) perché, pur avendo commesso altri crimini (passibili dunque di aggravanti per recidiva) questi non sono stati ancora registrati. Follia pura.

Quando si parla di riforma della giustizia non si può prescindere dalla revisione articolo per articolo di tutto il sistema. Come non si può prescindere dalle Vittime dei rei, chissà perché mai contemplate.

Il caso Izzo, costato una condanna della Corte Europea all’Italia, non ha insegnato nulla? Nel 2005, mentre era in regime di semilibertà, Angelo Izzo, conosciuto come “il mostro del Circeo”, ha ucciso Maria Carmela Maiorano e la figlia Valentina, di soli quattordici anni. Le ha uccise con le stesse dinamiche che lo hanno costretto al carcere nel 1975. Leggendo la causa Izzo-Maiorano contro l’Italia, intentata dalla famiglia delle Vittime alla Corte Europea, mi sono soffermata su alcuni punti che riguardano la difesa dell’avvocatura dello Stato. Nella causa si legge che “la responsabilità dello Stato riguardo all’articolo 2 (Diritto alla vita) è messa in discussione soltanto quando vi è un pericolo prevedibile, reale e concreto per la vita”. Ma se un ordinamento giudiziario si avvale del “precedente” per stabilire una condanna riconoscendo forza alla storia della persona, non dovrebbe riconoscere la stessa forza a quella storia quando si tratta di stabilire un beneficio in libertà? Davvero quando ci sono gravissimi precedenti il rischio per l’incolumità delle persone non è prevedibile? 

Andando avanti nella lettura del fascicolo si legge: “La semplice possibilità che un individuo che ha già ucciso possa uccidere una seconda volta non può essere sufficiente; concludere diversamente equivarrebbe rinunciare a priori a qualsiasi misura di reinserimento per gli assassini”. Vengono i brividi. Il reinserimento degli assassini, per di più seriali, vale di più della “semplice” possibilità che possano uccidere ancora? Questo è il pensiero che muove i fili della nostra giustizia? Come si può “prevenire” se si ragiona in questi termini? Davvero la semilibertà di un assassino nella scala dei valori e dei diritti è fondamentale e primaria rispetto alla possibilità (concreta!) che un qualsiasi essere umano innocente e libero possa morire ammazzato? Una “semplice possibilità” può diventare, da un momento all’altro, un’agghiacciante e devastante realtà. Ildirittoal reinserimento non può venire prima deldoveredella prevenzione.

Non può esserci sempre una scappatoia in grado di mettere la responsabilità personale al secondo, al terzo, all’ultimo posto. Non può farlo nessuno, né il criminale, né la legge, né il magistrato che di quella legge dà un’interpretazione che si riflette spesso in una mezza assoluzione.

L’ordinamento penitenziario è premiale e il premio avrebbe lo scopo che ha la carota per il cavallo. Ma gli uomini non sono cavalli. E non hanno bisogno né di bastone né di carote, ma di regole severe e certe. Non si chiede la tortura, si chiedono pene adeguate al reato e al valore del bene leso o distrutto, e così umane, pur nella severità, da essere in grado di trasformare l’a-moraleinmorale, l’a-socialeinsociale. 

La recidiva non è un’opinione e mentre cerchiamo un metodo educativo sicuro ed efficace al 100 per cento, forse dovremmo, per il bene comune, puntare la bussola del procedimento penale sugli innocenti che i reati non li commettono e sulle Vittime invece che sui criminali. Come scriveva Camus: “Bisognerebbe che la legge, per essere intimidatoria, non lasciasse via di scampo all’omicida, che fosse per principio implacabile e che soprattutto, non ammettesse nessuna circostanza attenuante”, noi invece ci preoccupiamo, prima che della tutela della vita, della risocializzazione degli assassini, anche plurimi. Evviva!

L’articolo 27 della Carta costituzionale afferma al primo comma che «la responsabilità penale è personale», nessuno può essere punito per un fatto che non ha commesso. Giusto. Ma quando lo ha commesso deve essere punito fino all’ultimo giorno di una condanna certa, universalmente accettata, adeguata al crimine commesso, non disumana ma severa e alla quale corrisponda una pena effettivamente scontata. 

L’indiscriminata prevalenza dell’ideologia risocializzativa ha reso ininfluente il principio di pericolosità sociale, presupposto applicativo della carcerazione, verso la quale manca un controllo costante, con i risultati che tutti abbiamo ogni giorno sotto gli occhi. Gozzini, Simeone, indulti più o meno mascherati, hanno svuotato il significato di prevenzione e sicurezza, e i principi fondamentali della pena. La difesa sociale non è più il filo conduttore del sistema. Con il risultato che i criminali aumentano insieme ai loro reati, e pure il sovraffollamento carcerario! 

Per questo Fratelli d’Italia ha depositato un ddl , a prima firma Edmondo Cirielli, che altri partiti dovrebbero valutare, per revisionare l’articolo 27 della Costituzione. Oggi questo articolo si legge solo dal punto di vista dei detenuti e ha perso la sua ragione primaria, che è quella della difesa sociale e della responsabilità penale. Come afferma la Corte Costituzionale con la sentenza numero 12 del 1966, “la rieducazione del condannato, pur nell’importanza che assume in virtù del precetto costituzionale, rimane sempre inserita nel trattamento penale vero e proprio. [...] Rimane in tal modo stabilita anche la vera portata del principio rieducativo, il quale, dovendo agire in concorso delle altre funzioni della pena, non può essere inteso in senso esclusivo e assoluto. [...] E ciò, evidentemente, in considerazione delle altre funzioni della pena che, al di là della prospettiva del miglioramento del reo, sono essenziali alla tutela dei cittadini e dell’ordine giuridico contro la delinquenza, e da cui dipende la esistenza stessa della vita sociale.” Ripeto, da cui dipende l’esistenza stessa della vita sociale!

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Barbara Benedettelli