Europa, ora c'è da risolvere il rebus delle poltrone
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Europa, ora c'è da risolvere il rebus delle poltrone

Per le grandi famiglie europee, popolari, socialisti e liberali, si prospettano larghe intese contro gli euroscettici. Cinque le nomine cruciali da fare e potrebbero essere premiati i paesi dell'Est

Le larghe intese ormai vanno di moda anche a Bruxelles. I risultati delle Europee 2014 dicono tante cose, ma soprattutto una: per governare l'Unione le grandi famiglie europee dovranno necessariamente stringersi la mano e trovare un accordo. Il nuovo Parlamento è particolarmente disomogeneo, con i popolari del Ppe che detengono la maggioranza con 214 seggi, seguiti a stretto giro dai socialisti di S&D con 189 seggi.

Terza forza a Bruxelles sono i liberali di Adle, capeggiati dal belga Guy Verhofstadt, che si sono aggiudicati 66 seggi, mentre i Verdi si attestano quarto partito d'Europa con 52 seggi. Sinistra Uunitaria (Gue) è a quota 42.

E poi arriva la carica dei "nuovi" e vecchi euroscettici, che non sono pochi. Il gruppo EFD (Europa delle libertà e della Democrazia), che include i britannici dell'Ukip, i danesi del People party e i finlandesi di True Finn contano su 38 seggi.

Poi ci sono i non iscritti (Front National francese e gli olandesi di Gert Wilders) con 41 seggi e, infine, tutti "gli altri", nei quali convogliano i grillini, la lista Tspras e i neonazisti tedeschi e greci (che si sono aggiudicati 3 seggi). In tutto sono 63. La valanga euroscettica ha travolto il Parlamento, ma si è comunque attestata al di sotto del 20%.

Ciò nonostante le new entry fanno saltare completamente gli equilibri europei, pensati dai big dell'Unione. E anche all'interno delle grandi famiglie ci sono dei mal di pancia. Il conservatore ungherese, Viktor Orban, che ha fatto l'en plein di voti con il suo partito Fidesz, ha già detto che non gradisce Juncker a capo della Commissione. 

Così, si riapre la partita alla presidenza della Commissione europea. E' vero che i popolari sono primo partito, ma i liberali non ci stanno e si mettono di traverso. Stessa cosa vale per il candidato soialista Martin Schulz, osteggiato anche in casa dai laburisti britannici, che già nella convention di Roma poco prima delle elezioni avevano espresso le loro perplessità sul presidente uscente del Parlamento europeo. L'idea è che ci si orienterà verso un nome condiviso ed "esterno", come Christine Lagarde, attuale direttore del Fondo Monetario Internazionale.

Ma la geografia degli equilibri europei non si concentra solo sulla Commissione. Cinque sono le cariche da nominare, e si comincia con la presidenza del Consiglio europeo, attualmente nelle mani di Herman Van Rompuy. Poi c'è la poltrona di capo della Diplomazia, attualmente ricoperta da Catherine Ashton, e l'elezione del presidente del Parlamento e di quello dell'Eurogruppo.

Quando queste caselle saranno riempite, allora salterà definitivamente fuori il nome del presidente della Commissione, ma non prima di aver usato il bilancino per rispettare tutti i sottili equilibri che regolano la vita delle istituzione dell'Unione dei 28.

E' possibile che in questa situazione difficile ci sia un'apertura nei confronti dei Paesi dell'Est, quelli entrati in Europa nel 2004 e che ora chiedono un posto al sole. La Polonia potrebbe rientrare di peso nel valzer delle nomine. L'Italia, invece, grazie allo straordinario raccolto dal Pd di Matteo Renzi che è la prima forza nel gruppo S&D a Bruxelles, potrebbe aggiudicarsi dei portafogli importanti in termini di commissari.

Improbabile, invece, la nomina di Gianni Pittella alla presidenza del parlamento, visto che alla BCE c'è già un italiano, Mario Draghi. Insomma, la composizione della mappa delle nomine europee si prevede tutta in salita, e le truppe degli euroscettici sono pronte a dare battaglia. 

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Anna Mazzone