handicap
iStock
News

La Ferrari sul posto disabili: un Oscar all'arroganza

Il fattaccio di via Montenapoleone a Milano è lo specchio di un’Italia che non riesce più neanche a essere un modello di generosa e empatica umanità

Il ragazzo ha il mito della Ferrari. Quel bolide deve significare ai suoi occhi potenza, libertà, vittoria. Quel ragazzo ha una sensibilità superiore a quella di bambini che non devono combattere ogni giorno con la disabilità. Quel ragazzo ha fiducia nel padre che lo protegge, lo accudisce, molto più “padre” di qualsiasi altro padre agli occhi di un bambino che non ha come lui un problema di mobilità, e che non dipende per muoversi dai familiari, dagli amici, dagli altri. Che non è costretto su una sedia a rotelle.

Bisogna sapere questo, per capire fino in fondo la follia e la brutalità e la violenza che sta dietro la reazione del proprietario di quella Ferrari blu che occupava in parte lo spazio per disabili, in Via Montenapoleone. Storia raccontata dal “Corriere della Sera”. Storia che continua a interrogarci per la sua assurdità che non sorprende più…

Il padre scende dall’auto e non riesce ad aprire il cofano per estrarre la sedia a rotelle. Ma il proprietario della Ferrari che ha parcheggiato troppo attaccata è là, in strada, di fronte a lui. E quindi il padre gli chiede di spostare il bolide poco più in là. Non è la richiesta di un favore. È la tranquilla rivendicazione di un diritto per via di un impedimento concreto. La reazione del ferrarista (ha senso chiamarlo ferrarista?) nel racconto del padre è violenta. Spinte, parole pesanti. Non ci sono testimoni. Silenzio quando arriva la polizia. Neanche per omertà ma per menefreghismo. Chi ha assistito alla scena si è ben guardato dal fare il testimone in una denuncia. Troppo disturbo.

È uno spaccato di vita italiana l’arroganza del potente di turno, qual è il proprietario di una Ferrari che occupa lo spazio di un disabile. E il lasciar-vivere-lasciar-perdere-lasciar-correre di chi occasionalmente si trova giusto là nelle vicinanze. E l’indignazione vana, frustrante di un titolare di diritti, un padre che non accetta la prepotenza altrui. Il ragazzo era terrorizzato, non dev’essere stato facile per lui assistere a tutta quella tensione, e alla violenza verso il padre.

C’è la stessa arroganza nello sfrecciare sulle strisce pedonali quando è evidente che qualcuno sta attraversando o sta per farlo. La stessa arroganza nell’evadere le tasse a scapito di altri che non hanno l’abitudine a farlo. La stessa arroganza nello scavalcare una fila o farsi fare una raccomandazione (che è un altro modo per scavalcare una fila).

Probabilmente l’arroganza non è prerogativa italiana, probabilmente appartiene al genere umano a tutte le latitudini. Ma forse noi eccelliamo. Oppure qualcuno mi spieghi perché se andiamo in Olanda, Belgio, Gran Bretagna, Germania, episodi come quello di Via Montenapoleone o scandali diffusi come il nepotismo universitario o abusi come gli assegni di invalidità fasulli siano fenomeni che percepiamo come italiani, come tipici della società italiana, esclusiva della parte peggiore di questo Paese in declino.

Il degrado delle città, la sporcizia che ci circonda, l’incuria, l’assenza del senso di appartenenza a una comunità in cui l’interesse collettivo coincide con quello individuale, sono purtroppo sempre di più caratteristiche della nostra società, a dispetto dell’immagine di italiani brava gente. C’è, dietro il muso del bolide blu di Via Montenapoleone il dramma di questa nazione.

E non a caso, allora, c’è chi si arrende e scappa all’estero. Si fugge dall’Italia non soltanto per un buon posto di lavoro o una opportunità in più, ma anche per non doversi scontrare ogni giorno con un bolide blu (seppure targato, va detto, Lugano, Svizzera) e il suo proprietario manesco e debordante, o in quella violenza diffusa e quasi impersonale che è la burocrazia con i suoi tempi da terzo mondo e le sue regole paradossali.
L’episodio di Via Montenapoleone vale un Oscar all’arroganza. Specchio di un’Italia che non riesce più neanche a essere un modello di generosa e empatica umanità gli uni verso gli altri. 

I più letti

avatar-icon

Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

Read More