Dove sono gli anti - berlusconiani?
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Dove sono gli anti - berlusconiani?

Fini e Bocchino, Saviano e Santoro. Cosa (non) fanno e cosa (non) dicono senza Silvio

Dove sono finiti gli anti-berlusconiani? C’era tutto un mondo che viveva sull’anti-berlusconismo. C’era Silvio Berlusconi, che nel bene o nel male occupava non soltanto le nostre chiacchiere al bar, ma anche il dibattito sui giornali, in televisione, nel Palazzo. A Montecitorio come a Ballarò. Sui quotidiani stranieri come sul web. Per la strada e nelle sedi istituzionali. Il Cavaliere faceva vivere di luce riflessa anche gli avversari, politicamente giustificati dalla sua presenza, dalla sua permanenza, dalla sua resistenza. Dai suoi guai e dalle sue battute, dalle sue uscite controverse. Insomma, dalla sua personalità ingombrante che di per sé radicalizzava lo scontro e tracciava una linea. Di qua o di là. Pro o contro Berlusconi. E adesso?

Dov’è Gianfranco Fini, il presidente della Camera che lamentava di non avere un ruolo politico ma solo istituzionale e di essere marginalizzato nello stesso partito, il PDL, che aveva contribuito a fondare? Fini che in una memorabile vignetta (si) dice: “Quando Berlusconi non parla, non so come contraddirlo”. E adesso che Berlusconi parla molto meno, perché non è più presidente del Consiglio (grazie anche a Fini), il presidente della Camera non sa più non solo che cosa “contraddire”, ma che cosa “dire”.

Sembra sparito dalle cronache anche Italo Bocchino, il braccio destro di Fini, quello armato, quello guappo, contundente, eccessivo. Quello che rompe tutto. Svaniti nel nulla anche i Granata, senza botto. Senza che ce ne siamo accorti. E tutti quelli che si erano impegnati nel loro piccolo per sfilare a Berlusconi la maggioranza e crearne un’altra. A sfilargliela ci sono riusciti, ma non abbastanza per fare piroetta e ribaltone. Così hanno perso la scena.

Non parliamo delle televisioni. Fazio e Saviano sono costretti a parlare d’altro. Ad andare, per così dire, fuori tema. Esattamente come i Floris, i Santoro, le Dandini, le Guzzanti, perfino le Bignardi. Ha minore risonanza perfino un regista cinematografico come Nanni Moretti. Cannes applaude di meno. In Italia, Raitre non è più Tele Kabul. La7 si è convertita alla letteratura, appresso agli ex di Raitre che riscoprono addirittura l’eroismo degli imprenditori (ancora Saviano).

Solo parte della magistratura persiste nella sua campagna e mantiene il punto. Sarà che ormai non può farne a meno. L’anti-berlusconismo è stato un modo per conservare e rinvigorire lo status di privilegio assoluto e anacronistico delle toghe, a fronte di una giustizia che non funziona (autonomia totale, anche rispetto alle decisioni sui magistrati che sbagliano e non pagano mai, e foraggiamento costante dei giornalisti amici attraverso le solite veline). Il metodo Berlusconi applicato urbi et orbi.

Perdono smalto gli “osservatori internazionali”, quelli che un giorno sì, e l’altro anche, intervenivano per pontificare sul Cavaliere Nero e sull’Italia berlusconiana (anche se per la verità le cose che Berlusconi diceva sul modo malsano di gestire l’Eurozona e sull’eccesso di austerità adesso sembrano di moda persino nella Francia che fu di Sarkozy e sui quotidiani anglosassoni sono moneta corrente).

E ha perso mordente Marco Travaglio, per quanto gli si debba riconoscere, a lui e al Fatto quotidiano, di avere opportunamente spostato l’attenzione sul nuovo governo e sugli antichi usi e costumi di una casta che non è migliore della precedente, anche se “tecnica”. Forse, anzi, è addirittura peggiore. L’anti-berlusconismo non rende più, di conseguenza non hanno più visibilità, in un gioco di rimbalzi perversi e reciproca irradiazione di notorietà, i difensori estremi o estremisti di Berlusconi. Gli Stracquadanio e le Santanché. Alcuni, sorpresi dal passo indietro del Cavaliere, si sono perfino inventati una nuova vita a-berlusconiana. Stracquadanio, per esempio, abilissimo nello stupire e nel manovrare i paradossi.

Insomma, a soffrire per l’assenza di Berlusconi dalla prima linea sono quelli che hanno fatto di tutto per costringerlo a rintanarsi nella trincea dell’invisibilità (e naturalmente quelli che più ostentatamente gli hanno fatto scudo). Perché alla fine l’Italia è sempre la patria dell’opportunismo. E le grandi figure servono, controvoglia, ai piccoli interessi.    

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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