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Contro le fake news l'unica arma è la cultura

Le false notizie per propaganda ideologica non sono nate con la Rete. La storia ce lo racconta. Oggi però serve il coraggio di essere scettici

Adesso sembra che le fake news siano nate con Internet. Quasi che le false notizie frutto di propaganda ideologica, politica, economica o addirittura psicologica, possano sgorgare solo dalle paludi e dal magma incontrollato della Rete. Ma le cose non stanno così.

La Rete per alcuni versi è davvero più democratica, per esempio, di certi ambienti universitari nei quali hanno diritto d’accesso soltanto quelli che adottano tesi e linguaggi politicamente corretti.

Dal dopoguerra, alla fabbrica comunista delle fake news ci siamo abbeverati, e in qualche misura ancora ci abbeveriamo, sui libri di testo per le scuole. Per decenni la storia d’Italia trasmessa a ragazzini strutturalmente non in grado di distinguere tra vero o falso o di ponderare il peso delle “notizie” è stata scritta, raccontata, spesso imposta (attraverso la didattica e gli esami) da professori che avevano una visione distorta della storia.

Quale peso hanno avuto nei libri di scuola i massacri nella foresta di Katyn, 1940, quando su ordine di Stalin i sovietici trucidarono freddamente oltre 20mila tra militari e civili polacchi? Non è escluso che ancora qualcuno attribuisca l’eccidio non ai sovietici ma ai nazisti.

Fu “criminale” o no, da parte di Togliatti, imporre la censura sulle notizie delle efferatezze di Stalin, quando già Kruscev stava scoperchiando il vaso di Pandora? Furono trattati nel giusto modo sui libri di storia (e di scuola) i profughi italiani istriano-dalmati che attraversarono l’Italia tra i lazzi e gli insulti di quanti li consideravano tutti fascisti? E non era forse un fake il riflesso condizionato dei conduttori di Tg degli anni di piombo che dopo un attentato, qualsiasi attentato, parlavano di “chiara matrice fascista” pur se le indagini non erano neppure avviate? Quanta disinformazione e fuffa ideologica ci è stata propinata in un clima di intimidazione culturale sui banchi di liceo e nelle Università?

Adesso, le “anime belle” si scandalizzano se in Rete troviamo delle bufale. Ha ragione il New York Times quando dice che il problema non è Internet, non il mare magnum nel quale si trova di tutto, anche le bugie, esattamente come si trovano nella vita che è quanto di più si avvicini alla vastità del web. Il problema siamo noi, che abbiamo perso la capacità di analisi, la voglia di non farci abbindolare, la perseveranza nel distinguere tra verità e menzogna e mettere in azione il cervello e tutti gli altri strumenti culturali. Perché abbiamo via via svuotato di significato e di rigore l’insegnamento scolastico, perché abbiamo diffamato il buon giornalismo della verifica sui documenti e sul campo pensando (a torto) che l’informazione in Rete fosse un modo più diretto di accedere alla realtà.

Da quando mondo è mondo gli Stati fanno propaganda: prima con giornali e tv, oggi anche attraverso la Rete. La guerra di propaganda, l’interferenza nella vita politica di altri Stati, c’è sempre stata. L’importante è essere più bravi degli altri, smascherare le bufale, imparare a giudicare da soli, non fermarsi mai alla prima notizia ma cercare di andare a fondo e confrontarla con altre di segno opposto. Essere meno “scemi”, cioè ingenui, direbbe il NYT. Anche gli americani in fondo hanno diffuso fake news che hanno generato guerre, come ai tempi dell’offensiva definitiva contro Saddam.

I russi sono campioni di disinformazione. Ma lo sono oggi come lo erano ieri, quando in Italia i comunisti facevano da megafono della Pravda ed erano serviti e riveriti da una intellighenzia che si prestava “per la causa” a diffondere un racconto tutto bugiardo. A Mosca e nell’Europa dell’Est si viveva meglio che all’Ovest? C’è chi ci credeva e chi lo faceva credere.

Io non ho tutta questa paura delle fake news, pur conoscendone i pericoli. Altre sono le insidie: il cyber-bullismo, per esempio. Ora c’è chi propone una legge contro le fake news. Una contraddizione in termini. Chi controllerà i controllori? Chi potrà mai ergersi a depositario della verità? L’unica difesa dalla menzogna si chiama cultura, raziocinio e coraggio. Di essere scettici e, sì, politicamente scorretti. 

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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