Concertazione: Monti sbaglia, ma anche no
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Concertazione: Monti sbaglia, ma anche no

Ecco perché l'attacco alla Camuso è l'ennesimo "giusto" autogol del Premier

Il generale Monti ha perso la trebisonda. Dice che siamo in guerra. Be', la conseguenza implicita è che le regole sono sospese, la democrazia diventa un intralcio. Dev’essere per forza così? E siamo davvero convinti che il modo migliore perché un paese civile e democratico, europeo, insomma occidentale, come il nostro possa fronteggiare la crisi sia quello di delegare ogni decisione a un generale nominato dal Re che sempre di più, e con toni sempre più preoccupanti, straccia mappe e discorsi, e a braccio mena fendenti senza più valutarne gli effetti e senza mostrare di avere più alcuna coscienza della natura astratta della propria investitura e dei propri limiti?

Le parole di Monti ai bancari sull’Italia in guerra e la concertazione che ha rovinato il paese hanno provocato la giusta ed equilibrata risposta del leader della CGIL, Susanna Camusso. Anche se nel merito la Camusso ha torto (ha ragione Monti, la concertazione è una cancrena ed è pure anti-democratica), ha ragione invece a rimproverare a Monti di essere l’ultimo a poter dare lezioni di democrazia e rappresentatività. Perfino una battaglia giusta nel merito, quella contro gli eccessi della concertazione tra governo e parti sociali nelle scelte di fondo della politica economica, nelle mani del general-maggiore Monti diventa una battaglia sbagliata e destinata a una rovinosa (e, dio non voglia, sanguinosa) disfatta.

Che cos’è la concertazione? Il metodo-sistema della partecipazione delle parti sociali alle decisioni strategiche del governo. Ma sostenere che la concertazione ha prodotto danni e va superata è un’affermazione minata dalla natura stessa del governo tecnico privo di legittimazione popolare. La Camusso ha gioco facile a trattare il premier dall’alto in basso (“Monti non sa di che parla, prendere lezioni di democrazia da chi è cooptato e non si è misurato col voto è un po’ imbarazzante per il futuro democratico del paese”).

Dall’alto, cioè, della sua forza rappresentativa come capo di un grande sindacato, al basso di un professore approdato a Palazzo Chigi per chiamata diretta e non dopo un’elezione. Monti ha inflitto soprattutto ai sindacati una bastonata micidiale che gli si ritorcerà contro, ribaltando in un paragrafo a braccio del suo discorso ai bancari tutta un’epoca iniziata nel ‘93 con Ciampi, quando la concertazione consentì di gettare le basi di un raffreddamento dell’inflazione e serene relazioni industriali.

Purtroppo, la concertazione con i sindacati e in particolare con la CGIL, si è rivelata alla lunga una delle zavorre più negative per la crescita dell’Italia, e una fonte d’ingiustizia nei confronti di tutte le altre categorie non rappresentate dai sindacati nazionali: i giovani, i precari, i disoccupati, gli autonomi… Ne è scaturito un eccesso di protezione per chi già aveva certezze di lavoro e assistenza sociale, l’appesantimento dei conti pubblici, e la mancanza di qualsiasi garanzia o potere contrattuale e politico per tutti gli altri. Monti, proprio perché è un premier tecnico, ha avuto la spavalderia di evocare una verità fondamentale, ma ha anche dimostrato la sua carenza come politico: ha perso l’equilibrio tecnicamente necessario a tenere dritta la barra del barcone governativo. Sta sbagliando troppo, per essere un tecnico.

Le cose non stanno andando bene per l’Italia, il salvataggio è lontano. Lo spread continua a fare su e giù. L’Europa ci tiene il fiato sul collo. L’Italia è di fatto sotto programma e il rispetto dei partner europei lascia a desiderare. Pacche sulle spalle a Monti, ma concessioni per il momento: zero virgola. Assurda pure l’auto-esaltazione rispetto al suo predecessore, Berlusconi. Al vertice di Cannes, dice Monti, Berlusconi è stato quasi umiliato dai colleghi. La realtà è che proprio in quel vertice Berlusconi ebbe la forza di resistere alle pressioni che volevano porre subito l’Italia sotto programma della Troika.

Sostiene Monti che le parti sociali devono “restare ‘parti’, ed esser viste dalla società come vitali e importanti, non soggetti nei confronti dei quali il potere pubblico dia in ‘outsorcing’ responsabilità politiche. Esercizi profondi di concertazione, in passato, hanno generato i mali contro cui stiamo combattendo”. Il generale vuol dire che il governo è il paese, i sindacati una parte. E le parti non possono avere il bastone del comando. Ma il governo è il paese se è stato eletto. Non può avere il bastone del comando un esecutivo che brandisce un scettro di cartapesta in mano a un generale senza un popolo dietro, senza esercito, sempre più avvitato in un trip a metà tra la disperazione di non riuscire a sfondare le schiere nemiche e l’ossessione di vedere ovunque nemici. Infine, con in testa una visione del futuro per l’Italia ridotto al monitoraggio compulsivo dello spread. Da uomo della finanza qual è.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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