Charlie Hebdo, per favore non dite che è l'11 settembre d'Europa
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Charlie Hebdo, per favore non dite che è l'11 settembre d'Europa

Tremila vittime scelte in modo indiscriminato da un lato e un gruppo di persone che si è assunta la responsabilità di una condotta rischiosa dall'altro

No, non è l’11 Settembre dell’Europa. Non è l’11 Settembre.
Non è quello che negli Stati Uniti tutti chiamano il 9/11: una data, un simbolo, un buco nero della storia, uno snodo epocale. Quindi per favore non parlate di 11 Settembre, non bestemmiate.

Come tutte le volte che si parla di Olocausto a vanvera, ignorando la storia. L’assalto alla redazione del foglio satirico “Charlie Hebdo” a Parigi, la strage di giornalisti e vignettisti e il tragico corollario di altre vittime (portieri, poliziotti, ospiti…), non può neppure lontanamente esser paragonato all’attacco coordinato al cuore dello Stato che fu il dirottamento di quattro aerei di linea nel 2001, all’alba del nuovo millennio.

Pochi ricordano che bersaglio non furono solo le Torri Gemelle, simbolico motore e polmone finanziario dell’America, ma il Campidoglio di Washington, il Congresso, forse la Casa Bianca (risparmiati solo grazie alla reazione eroica dell’equipaggio e dei passeggeri dell’apparecchio che avrebbe dovuto colpirlo e invece si schiantò in un campo) e il Pentagono (che fu centrato).

Mai e poi mai si possono paragonare quasi 3mila vittime indiscriminate a una piccola redazione sotto mira per vignette considerate offensive verso l’Islam. Sì, quello dei terroristi “qaedisti” di Parigi (fu Al Qaeda a firmare l’11 Settembre, ma il paragone finisce qui) è un attacco alla libertà di stampa.

Una vendetta contro la redazione
Ma in particolare, dal punto di vista dei killer, è stata una vendetta contro il direttore e i vignettisti di “Charlie Hebdo”. No, non è la prima volta che dei giornalisti muoiono sul campo. Il commando ha voluto distruggere quella redazione, uccidere quei giornalisti che si erano coraggiosamente assunti la responsabilità delle loro vignette e della loro ostinazione nel proseguire una controversa attività editoriale. L’aspetto più incomprensibile e scandaloso è che il governo francese non abbia saputo prevenire l’attacco e proteggerli.

Consapevoli del rischio che si corre
Ma per favore non dite che è l’11 Settembre. I quotidiani americani hanno sottolineato che i giornalisti di “Charlie Hebdo” avevano continuato nelle loro “provocazioni” nonostante avvertimenti e minacce. Forse perché in America si tiene di meno alla libertà di stampa o si ha più paura che in Europa? No, la ragione è solo che ciascuno è padrone della propria vita e del rischio che vuol correre, e naturalmente dev’esser libero di esprimere le proprie opinioni ma sapendo a cosa va incontro.
Come i volontari che vanno oggi in Siria.
Come gli inviati di guerra.
Non come l’ascensorista, il cameriere, il broker, la shampista, l’uomo delle pulizie, il commercialista, l’immobiliarista, il parcheggiatore delle Torri Gemelle. E neppure come il congressista o il capo di Stato (che rappresentano il popolo).

I killer parigini non sarebbero potuti salire su un volo americano
E poi basta, ancora, con il ritornello sui “pezzi di libertà” sacrificati dagli americani a favore della sicurezza. La prigione per terroristi o supposti tali di Guantanamo ha innescato polemiche a non finire. Ma fa pensare che i killer parigini fossero nella “lista nera” e non sarebbero mai saliti con i loro documenti su un volo americano.

Erano stati in carcere in Francia, si conoscevano i loro movimenti, si sapeva che erano mine vaganti. Questo non ha impedito che fossero tanto liberi da poter mettere a segno i loro crimini terroristici. Che si fossero armati e si fossero potuti organizzare indisturbati. Se meno libertà significa più sicurezza per me e meno libertà per loro, non credo si possa parlare di vulnus alla democrazia. Apparati e servizi di sicurezza efficienti non lasciano massacrare vittime predestinate.

Il fascino delle semplificazioni
Chi ha parlato di 11 Settembre dell’Europa?
Il filosofo “edonista” Michel Onfray che rivendica d’esser stato il primo a twittare questa corbelleria, e l’etnologo esperto di Africa e Sud America, Marc Augé, entrambi francesi.
Ah, la colta cecità di certa intellighenzia. Il fascino delle semplificazioni.
No, non siamo newyorchesi. No, questo non è il nostro 11 Settembre.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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