Bersani ha fallito, tocca a Napolitano
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Bersani ha fallito, tocca a Napolitano

In un faccia a faccia durato più di un'ora il segretario del Pd ha spiegato le ragioni della sua sconfitta. Ora tocca direttamente al Quirinale ed al "governo del Presidente" - i commenti su twitter - Il Napolitano bis - le reazioni all'estero -

'Ho riferito dell'esito del lavoro di questi giorni che non hanno portato a un esito risolutivo. Ho spiegato le ragioni e illustrato gli elementi di comprensione anche positivi attorno ad alcuni punti ma ho 'descritto anche le difficolta' derivate da delle preclusioni o condizioni che non ho ritenuto accettabili''.  Pier Luigi Bersani, 19.18, Quirinale

Esito delle consultazioni da presidente pre-incaricato: “Non risolutivo”.

Oh, finalmente. Bersani è costretto a farsi da parte dopo averle sbagliate tutte. Prima, durante e dopo. Tocca ora a Giorgio Napolitano provare a disegnare una possibilità di governo. Napolitano proviene dalla stessa tradizione politica di Bersani (avendo però alle spalle un’esperienza e un passato ben altrimenti significativi) e ha dimostrato di essere uno statista, non un misero canoista senza bussola. Però ha margini limitati di manovra e strumenti smussati dal fatto di trovarsi al termine del semestre bianco (nell’impossibilità secondo Costituzione di sciogliere le Camere) con le ali tarpate dall’ansia con cui le forze politiche (tutte) aspettano il 15 aprile. In un contesto intricato e frammentato come quello attuale, l’elezione del successore di Napolitano è infatti inevitabilmente connessa con i giochi per la formazione del nuovo governo.

Dunque, Napolitano cercherà di dare un timone al paese. Non potrà che essere un “governo del Presidente”, cioè guidato da una personalità scelta dallo stesso Napolitano (si parla di Grasso, Saccomanni o Amato). Ma non potrà essere, come nel caso del governo Monti, un esecutivo soltanto tecnico. Dovrà essere politico.

Le istituzioni democratiche, gli stessi italiani, non potrebbero sopportare un Monti bis o una sua fotocopia. Il problema non dovrebbe porsi per il Pdl, pronto anche a permettere la formazione di un esecutivo politico del Presidente, mentre per come ha impostato la campagna elettorale e la rovinosa sequela di consultazioni in streaming o no, Bersani non può accettare di concorrere a formare una compagine con Berlusconi, fosse pure il premier una personalità al di sopra delle parti. A quel punto sarebbe inevitabile un governo che resti in carica solo per coprire la vacatio politico-istituzionale, che porti al voto subito (tempi tecnici: elezione del Presidente, scioglimento delle Camere e voto ai primi di luglio), oppure con un programma minimo da realizzare (tra cui una riforma elettorale), per andare alle urne in autunno.

Nel frattempo, in assenza di accordo tra i partiti, il capo dello Stato verrebbe scelto dalla sinistra (per l’ennesima volta). Bersani avrebbe occupato tutte le alte caselle istituzionali in virtù di uno scarto minimo di voti sul Pdl e di neanche un terzo dei voti degli italiani, ma sarebbe poi destinato al tonfo elettorale. O addirittura a dover lasciare a altri l’onere di presentarsi come candidato/a premier del Pd. In questo modo, il cupio dissolvi di Bersani avrebbe corrisposto a quella che è sempre stata la sua logica, insieme egoista e suicida: non lasciare alcuno spazio al suo avversario interno, Matteo Renzi. Togliergli anche la possibilità di correre nelle primarie se il voto fosse praticamente immediato.

E pur di stroncare qualsiasi dissenso reale all’interno del Pd, Bersani avrebbe ottenuto, proprio quando il governo sembrava di nuovo facilmente alla portata della sinistra, di riconsegnare il Paese a Berlusconi (o a chi per lui).

A chiunque, fuorché a Renzi.

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