Perché Berlusconi è ancora un pericolo
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Perché Berlusconi è ancora un pericolo

Nel mirino: lui, la sua famiglia, Francesca Pascale, il suo consigliere politico, le aziende e i manager, i capi di Forza Italia, uomini della vecchia guardia, i giornali di famiglia

A Silvio Berlusconi viene attribuita di nuovo la sindrome autodistruttiva preelettorale. La caccia al re e ai suoi cortigiani procede come da copione solito in un’orgia di pettegolezzi a mezzo stampa, tipica ammucchiata di coraggiosi della penna che si sentono autorizzati a incarognirsi su un presunto declino da grane giudiziarie, su un tramonto personale connotato dalla perdita di un titolo che ha sempre dato modo alle persone adulte di rallegrarsi per la sua pomposità, il titolo di Cavaliere, per noi familiarmente il Cav, e il tutto alla vigilia di decisioni sulla restrizione della libertà personale del capo dell’opposizione, problemino di tutto rispetto in una democrazia costituzionale che viene scaricato interamente sul condannato definitivo della famosa sentenza Esposito.

Obiettivi della battuta di caccia sono Berlusconi in persona, i suoi figli di primo e di secondo letto, maschi e femmine in blocco, la sua fidanzata Francesca Pascale, il suo barboncino bianco, il suo consigliere politico, le sue aziende e i loro manager, i capi del partito di Forza Italia e dei gruppi parlamentari, elementi della vecchia guardia militante, i giornali di famiglia. Gli elementi del drammone sono sondaggi che darebbero Forza Italia intorno al 20 per cento nelle elezioni del Parlamento europeo, l’incertezza del leader nel fissare un ordine interno al suo partito, e i conseguenti rinvii nella definizione di un vertice e delle liste elettorali, e poi sugose mene di corte, dicerie a cascata su figure arrembanti in cui si mescolano privato e pubblico, malignità, interpretazioni, deformazioni, amplificazioni di ambizioni giuste e sbagliate, balle ogni giorno smentite dalle balle successive in una poltiglia indistinta e guardonistica di rivelazioni, sospetti, insinuazioni.

Il moralista giansenista Pierre Nicole, amico e chiosatore di Blaise Pascal, diceva nel Seicento che amor proprio e carità vanno spesso a braccetto e si confondono l’uno con l’altra. Per Berlusconi la definizione è perfetta. La sua dedizione agli altri, nell’impresa e in politica, è il risvolto del suo amor proprio, della sua ansia di piacere e di vedersi riconosciuto e amato dagli interlocutori, con una punta di narcisismo. La luce vespertina ha ancora, nel paese di Berlusconi, la capacità di illuminare l’insieme della sua giornata. E quel che si vede, oltre la nebbia della guerra a lui indirizzata e l’odore di polvere da sparo, è quest’intreccio di carità, intesa come forma della politica e della socialità benevolente, con l’amor proprio, che è di tutti gli uomini, che è un sentimento affine anche al peccaminoso orgoglio, ma nel Cav è una specie di morbo salutare, un modo di essere fruttifero sebbene ambivalente, portatore di umori caotici, di errori e forzature, ma anche di squillanti, resistenti identificazioni e adesioni da parte di un segmento importante del popolo italiano.
Se non per i superstiziosi e gli stupidi, bisogna riconoscere che Berlusconi non può essere il cavaliere nero delle leggi ad personam e della mancanza di scrupoli, se è vero che da tre anni è il perno decisivo, dopo avere abbandonato la guida del governo (ultimo presidente eletto dai cittadini), di esecutivi e maggioranze parlamentari incaricate, nel bene e nel male, di tirare fuori l’Italia dalla crisi, di mediare un nuovo rapporto con l’Europa matrigna, di garantire un salto generazionale fondato su riforme di struttura dell’economia e dell’assetto istituzionale.

L’artista Nanni Moretti e il professor Franco Cordero, dedicando al Cav la loro verve poetica e saggistica, gli hanno eretto negli anni un monumento: il monumento "al Caimano". Gustoso e sapido progetto, non esente da più o meno illuminata isteria, ma parecchio caricaturale a guardarlo oggi con gli occhi del disincanto.

Non si sono visti i fuochi in tribunale, non si vide Masaniello, non si è vissuta la tregenda da egocentrismo esplosivo e divoratore: si sono visti un governo tecnocratico di larga coalizione che ha fatto la riforma delle pensioni, un governo di transizione molle e fiacco guidato da Enrico Letta, il Nipote del cardinal Nepote, che è stato appoggiato perfino oltre il tollerabile, e infine un governo rinnovatore al tutto piddino, guidato dal giovane Matteo Renzi, che è nato solo per la dignità con cui il Cav ha fatto l’accordo sulle riforme istituzionali ed elettorale, e vive tuttora anche della sua opposizione costruttiva e dei suoi toni amabili di pater patriae.

Per non parlare del vertice dello Stato, il cui capo fu appuntato presidente anche e sopra tutto per scelta di Berlusconi, orientato a non speculare su un evidente blocco della politica parlamentare, quando si rivelò incapace di eleggere il successore di Giorgio Napolitano. E il tutto senza contropartite crasse, di cui pure si è spesso favoleggiato.

Il Berlusconi che, lui sì, ha fatto la grazia all’Italia, la grazia di un comportamento adamantino, è uno scandalo per i benpensanti e i filistei della sinistra più cialtrona del mondo, quella dei chiacchieroni del giro debenedettiano e degli amici del compagno greco Alexis Tsipras.

La strategia del pettegolezzo e dello scavo maligno nella reputazione di Berlusconi, dei suoi amici, e come sempre della sua famiglia e delle persone a lui care, essendo il Cav da sempre un uomo privato, nasce da questa stupefatta e stordita constatazione ex post: non era un Caimano, è uno che ha tanta generosità da compiacersi in un modello così lontano da lui, il Rottamatore, perché aveva e ha in mente, con i suoi mezzi, il suo linguaggio e il suo stile, un Paese diverso da quello che si staglia negli incubi ideologici di chi lo ha elevato al rango di Arcinemico. E allora vai con il cagnolino, la fidanzata, la dynasty di famiglia, la dissoluzione del partito, la frantumazione dei suoi gruppi dirigenti, insinuazioni di ogni genere miste alla epica nostalgia del giudiziario d’assalto eccetera.

Non dico che Berlusconi non faccia di tutto per avvalorare un’idea di crisi e di incertezza del suo schieramento, è da sempre il suo tipico comportamento sotto elezioni, quando si devono fare le liste e l’amor proprio del sovrano si scontra con l’amor proprio degli altri. Ma un conto è il disordine regale di uno che sta parecchie spanne sopra la testa e la sensibilità dei mozzorecchi, e un conto è assistere con divertimento, come noi facciamo, allo scatenarsi del disordine nel campo del nemico fazioso per aver visto che il Caimano era ed è un uomo di Stato, spettacolo intollerabile.

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Giuliano Ferrara