Armiamoci e partite: la furbizia dei tecnici non-candidati
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Armiamoci e partite: la furbizia dei tecnici non-candidati

Fornero, Passera, Riccardi, lo stesso premier: nessuno degli ex ministri tecnici si confronterà con il voto popolare. Troppo comodo

Mario Monti si candida ma anche no. È già senatore a vita, giustificazione valida che gli consente di non esporsi di persona al giudizio degli elettori.  Lui dice che non corre per arrivare secondo. Ma canterà comunque vittoria se le liste montiane avranno una buona affermazione, e potrà non accusare la sconfitta in caso d’insuccesso non essendosi calato nell’agone. È un bel vivere, un “fare politica” molto comodo. Il disimpegno del Professore fa scuola. Anche i suoi ministri sono reticenti. Non amano candidarsi. Così Passera, che si è tirato fuori sostenendo che avrebbe voluto una lista unica di tutti i montiani. Così la Cancellieri, seppure in base alla considerazione (nobile) che come avrebbe potuto, da ministro dell’Interno, garantire il corretto funzionamento del processo elettorale se lei stessa avesse deciso di candidarsi? In realtà potrebbe. I suoi predecessori lo hanno sempre fatto.

Non si candidano Elsa Fornero, Corrado Clini e Filippo Patroni Griffi. I ministri “tecnici” sono stati scelti attingendo al bacino degli alti papaveri della pubblica amministrazione su indicazione dei partiti e ciascuno fa la propria gara. Candidandosi e/o non candidandosi. Ne restano pochi, fedeli e seguaci del Monti “politico”. Forse Giulio Terzi di Sant’Agata in quota Fini (Fli), che però ha difficoltà a farsi “accettare”. E Mario Catania.

Il ministro Riccardi, una delle menti dell’a/scesa in campo di Monti, si è già defilato dalla corsa a Sindaco di Roma (avrebbe potuto eccome, grazie al radicamento e alle benemerenze reali della Comunità di Sant’Egidio che a lui fa capo). Alla fine della fiera, Monti e i suoi più stretti collaboratori-ministri hanno adottato il classico: “Armiamoci e partite”. Campioni tutti di una visione oligarchica, non modernamente democratica, della politica come “governo dei migliori”, degli “eletti” non in quanto beneficiari di un quantificabile consenso popolare, ma come depositari di competenze che li pongono (a loro giudizio) al di sopra dei comuni mortali. Sotto di loro si candidano eccome, brandendo il vessillo della responsabilità e della buona politica, le liste centriste figlie e nipoti della Prima Repubblica: i politici “responsabili” che hanno anche coraggiosamente preservato la propria autonomia rispetto a Berlusconi pur essendo “antropologicamente” non a sinistra (Pier Ferdinando Casini) e quelli che si sono svincolati in extremis (Gianfranco Fini), poi tutti gli altri che si sono fatti strada in questi anni barcamenandosi fra le istituzioni e la politica.

Lo stesso Luca Cordero di Montezemolo ha (saggiamente) deciso di non presentarsi di persona, lasciando correre i candidati della sua Italia Futura. Scelta comprensibile dal suo punto di vista. I suoi candidati, il suo staff, sono comunque di livello. E c’è il Partito democratico di Pierluigi Bersani, che in forza di un controllo da vecchio Pci dell’apparato , è riuscito a dare ai propri uomini la legittimazione formale delle primarie, annichilendo il gruppo residuo dell’opposizione riformista interna di Renzi e dei renziani.

Tutto questo sa poco di vera democrazia. È uno spettacolo non da maturo paese occidentale che ha chiare le proprie opzioni di scelta. C’è poco di “liberale” nelle tormentate manovre di avvicinamento alla presentazione delle liste. Banche e Vaticano sono con Monti, con i dovuti distinguo del giorno dopo per la vastità e varietà del bacino di fedeli (e vescovi). Quanto all’anti-politica, ha indossato i panni di un vecchio comico petulante e iracondo, padre padrone di una masnada di volenterosi internauti, e quelli di un magistrato che ha potuto usare la toga per farsi conoscere e entrare, in un’età non ancora pensionabile, in Parlamento a proseguire i comizi avviati quand’era ancora teoricamente super partes ma concretamente già rappresentava la sinistra estrema di una magistratura incivilmente schierata e “civilmente” impegnata. Infine, ci sono i parlamentari (inseriti in liste-contenitori) che puntano a ottenere la rielezione a ogni costo (molti ci riusciranno), soldatini che potranno rientrare/restare a Palazzo anche se  si candidano in liste di meno del 2 per cento.

Povera Italia.    

Il nuovo gioco sociale è quindi “mi candido o no?”. Tecnica e politica si confondono, s’intrecciano, si contaminano. Ma il risultato è che il più determinato fra i presunti tecnici nell’ascesa (o nella scesa) in politica è proprio Monti. Gli altri, i suoi ministri, gli uomini che i partiti hanno via via indicato attingendo nella riserva della tecnica prestata o contigua alla politica, non sono così convinti. La democrazia è un gioco sano, la dote fondamentale di chi vuole impegnarsi per il bene comune e affrontare sulla base delle proprie idee/proposte il vaglio dell’urna.

I candidati accozzati sotto lo slogan “Con Monti per l’Italia” sono invece la riedizione di un pittoresco partito personalistico che si riconosce nel Professore solo per meglio sgomitare nello sgangherato scenario della politica italiana e contare come ago della bilancia nel futuro Parlamento. Meglio allora avrebbe fatto Monti a seguire i consigli del ministro Passera: una sola lista. Non una piccola armata Brancaleone di profughi della Prima Repubblica appesi alla credibilità di ex tecnici incapaci di imparare, alla loro età e dopo una vita da nominati, croce e delizie della politica vera.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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