Bin Laden oggi vivrebbe in Africa
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Bin Laden oggi vivrebbe in Africa

Droga, armi, flussi migratori di clandestini: nel continente nero al-Qaeda controlla tutti i traffici contro l'Occidente. Un rapporto riservato spiega come c'è riuscita. E quali obiettivi, politici e militari, si sta ponendo.

Ormai lo chiamano gangster-jihadism. Le formazioni terroristiche affiliate ad Al Qaeda presenti in Africa hanno stretto rapporti stabili con i trafficanti di droga, armi ed esseri umani ottenendo così un duplice scopo: autofinanziarsi per sopperire ai sempre minori aiuti provenienti dalle monarchie del Golfo e diventare una sorta di entità parastatali nelle aree dove non c’è un governo centrale.

Al ministero della Difesa italiano la preoccupazione è aumentata dopo aver letto l’accurato report riservato che il Cesi, Centro studi internazionali, ha preparato per il vertice dello Stato maggiore e che Panorama ha letto in esclusiva. Dell’accordo si avvantaggia anche la criminalità organizzata sfruttando l’organizzazione territoriale jihadista e quindi in Africa si possono delineare scenari simili a quelli del Centro e Sud America, dove i cartelli della droga sono parte integrante della rete di movimenti antigovernativi.

A questo si aggiunge la complicità di alcuni stati: nel report del think tank presieduto da Andrea Margelletti la Mauritania viene indicata come alleata dei signori della droga dell’Africa occidentale, mentre Sudan ed Eritrea sostengono i terroristi somali di al-Shabaab e sono coinvolti nel traffico di esseri umani verso il Medio Oriente e l’Europa. La sicurezza resta perciò tema centrale in materia di immigrazione, come ha confermato il ministro degli Esteri Emma Bonino: cellule dormienti, ha detto, si celano tra milioni di rifugiati.

Immigrazione e traffico d’organi.

Il Sahel è lo snodo di due rotte desertiche con traguardi diversi: il Maghreb e l’Europa. Sono rotte gestite da tribù in contatto con gruppi qaedisti: il traffico di esseri umani genera un indotto medio annuale di 105 milioni di dollari, denaro che va in parte alle autorità locali, che forniscono visti per l’ingresso dei profughi nei paesi nordafricani, e in parte ai terroristi che garantiscono la sicurezza dei convogli o ne curano il trasferimento verso il Mediterraneo. Non tutti i profughi
raggiungono le coste: si arriva a ipotizzare addirittura un commercio di organi.

La rotta occidentale comincia da Lagos, in Nigeria, e da Bissau, in Guinea-Bissau, e prosegue verso il nord della Nigeria dove i profughi si raccolgono nelle città di Kano e di Maiduguri. Qui compaiono Boko Haram, la setta salafita nigeriana protagonista di molte stragi contro i cristiani (lunedì 27 gennaio altri 70 morti), e Ansaru, jihadisti locali che gestiscono il business. La rotta poi si divide: una parte dei profughi viene indirizzata verso Agadez, in Niger, dove si aggiungono nigerini e ciadiani, e quindi verso Sebha, capitale del Fezzan, nel sud della Libia. Sono quelli che puntano all’Italia e che hanno a che fare con i terroristi che controllano le montagne del nord del Niger. Dalla fascia costiera libica tra
Tripoli e Misurata partono circa 350 persone al giorno verso l’Italia.

L’altra diramazione, nella quale confluiscono flussi dalla Mauritania, ha come mete finali il Marocco e la Spagna passando per Gao (Mali) e Tamanrasset (Algeria).
Ulteriore elemento di preoccupazione è che un numero sempre maggiore di profughi si ferma tra Sebha e Marzuq, dove ci sono campi di addestramento di al-Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), rinforzandone i ranghi.

Lungo la rotta orientale il traffico è gestito soprattutto da Eritrea e Sudan: riguarda 100 mila persone l’anno, oltre la metà resta in Africa e un terzo si dirige verso Yemen, Arabia Saudita, Kuwait, Qatar e Israele. Si può dire che almeno 35 mila immigrati l’anno puntino verso Medio Oriente ed Europa, ma in futuro si teme un’ondata di altre 10-15 mila persone in fuga da Sud Sudan e Repubblica Centrafricana verso Sudan ed Etiopia, anche loro con il sogno europeo.

Prostituzione e rapimenti. Il guadagno arriva anche con la prostituzione. A Djibouti e in Kenya il turismo occidentale favorisce un lucroso business e nel Corno d’Africa il traffico di donne consente lauti incassi sia ai pirati che ai miliziani jihadisti somali.

Non mancano altre rotte. Oltre a una interna, che porta profughi verso Yemen e Arabia Saudita via mare grazie a scafisti yemeniti e somali, ce n’è un’altra che muove dall’Eritrea e prosegue verso due campi profughi sudanesi.

A bordo di camion, migliaia di disperati vengono portati nel nord del Sudan: qui chi è destinato in Europa devia verso la Libia, chi invece deve raggiungere il Medio Oriente entra in Egitto e prosegue per il Sinai. Un ruolo determinante è ricoperto da un’etnia nomade, i Rashaida, che fanno soldi in vari modi, come rapire i clandestini e chiedere alle famiglie riscatti di circa 4 mila dollari. Se non pagano, gli ostaggi vengono uccisi e sfruttati per il traffico di organi o avviati alla prostituzione. Invece, se il viaggio prosegue, in Libia o in Egitto passano il testimone ad altre etnie dopo aver pagato pedaggio a bande qaediste. Un viaggio costa mediamente 3 mila dollari.

La droga e lo spettro sudamericano.

Le rotte per il traffico di esseri umani vengono usate anche per quello della droga, sul quale i terroristi puntano molto. Nei porti di Lagos e di Bissau arrivano cocaina e sigarette dal Sud America ed eroina dal Sud-Est asiatico.
Secondo l’ufficio Onu contro la droga e il crimine, circa il 13 per cento (21 tonnellate) della cocaina trafficata in Europa è transitata in Guinea-Bissau con un valore di mercato di almeno 4,3 miliardi di dollari.
Un altro miliardo di dollari vale il traffico di tabacco, il 60 per cento del quale destinato al Maghreb. Dietro tutto questo c’è, tra gli altri, lo zampino di Mokhtar Belmokhtar, uno dei più importanti leader qaedisti.

L’ampliarsi di zone controllate da terroristi e criminali farà aumentare in modo preoccupante il traffico di droga: un chiaro esempio fu il ritrovamento, nel 2009, di un Boeing 767 su una pista improvvisata nel deserto del Mali.
Scenari sudamericani non sono più ipotesi: il collegamento sempre più stretto tra al-Qaeda, politici corrotti e criminalità organizzata rende possibile un’alleanza antigovernativa potenzialmente destabilizzante. Se le tariffe della droga si abbassassero, l’Italia e l’Europa subirebbero effetti molto pericolosi: già oggi in Nigeria eroina e cocaina cominciano a essere sintetizzate e prodotte direttamente, con meno costi e più profitti.

Traffico d’armi e ostaggi occidentali.

La fine del regime di Muammar Gheddafi ha stravolto il mercato, gestito dai tuareg fino al 2011, con l’arrivo di enormi quantità di armi utilizzate dalle milizie durante la rivoluzione libica e giunte in Niger attraverso il deserto di Erg Murzuq, nella Libia meridionale. Ora tutto è in mano a Belmokhtar, che probabilmente rifornisce anche Ansar Al Sharia in Libia e in Tunisia: oltre a lanciarazzi e mitra Kalashnikov, jihadisti di Boko Haram, del Sahel e di al-Shabaab sono in possesso di decine di lanciamissili a spalla SA-7. Né va dimenticato un altro business, quello dei rapimenti di cittadini occidentali. Negli ultimi anni i casi si sono moltiplicati: spesso si tratta di bande che si spacciano per jihadisti per aumentare il riscatto o che vendono gli ostaggi a vere organizzazioni terroristiche.

Quando gli americani cominciarono a usare i droni, ha scritto il Financial Times, se i capi dei servizi segreti occidentali avevano voglia di scherzare dicevano che il peggiore mestiere del mondo era essere il numero tre di al-Qaeda perché equivaleva a essere morto. Ma il quadro che abbiamo descritto ha talmente ingigantito il problema che tutti, Europa e Italia comprese, oggi devono attrezzarsi meglio.

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Stefano Vespa