Addio, Michkail Kalashnikov
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Addio, Michkail Kalashnikov

Se n'è andato nella sua città natale l'inventitore del fucile mitragliatore più diffuso del mondo

«È mille volte più difficile fare bene le cose semplici che quelle complicate. Un soldato non deve avere la laurea. Deve essere sicuro  di avere in mano un'arma affidabile e semplice nell'utilizzo, che non tradisce mai. Non ha il tempo, quando si trova faccia a faccia con il nemico, di premere bottoni o ricordarsi al volo il meccanismo di fuzionamento di un'arma troppo tecnologica».

Mikhail Tymofeyevic Kalashnikov, l'inventore del fucile mitragliatore più diffuso al mondo , se n'è andato in un ospedale di Izhevesk, la sua città natale, sui Monti Urali. Aveva 94 anni. Era stato insignito, solo qualche mese fa, dalla massima onoreficienza della patria, quella di Eroe della Russia. Con lui se ne va un pezzo importante della storia, tragica e maestosa, del 900. A lui sopravvivono i fucili - originali o contraffatti - che gli devono il nome. Tutto ebbe inizio per caso, dopo una battaglia in cui i soldati russi erano stati impegnati contro i tedeschi.

1942: in un improvvisato ospedale da campo dove era stato ricoverato Kalashnikov fa un bozzetto e disegna il prototipo di un fucile d'assalto che, proprio per la sua semplicità di utilizzo e il suo costo relativamente basso, conobbe un successo senza precedenti. Che cambiò anche il modo in cui si combattono le guerre dimenticate, quelle in cui decisiva non è la tecnologia, ma il fattore umano. Un successo tale, quello dell'Ak-47,  che ha sbaragliato tutti i rivali, come il più tecnologico, più costoso,  ma anche meno affidabile,  M-16 americano.  «Non si rompe mai», dicono gli estimatori del Kalashnikov, quasi fosse una vecchia Buick o una Cadillac paragonate alle ipertecnologiche auto di oggi.

Arma dei rivoltosi, dalle narcomafie,  degli eserciti popolari delle Nazioni povere nate sulle ceneri delle guerre antricoloniali, non c'è capo militare, da Bin Laden a Fidel Castro, che non si sia fatto immortalare, per vezzo,  con un Ak-47 (o un AKM) sullo sfondo o a tracolla, preso a simbolo delle rivolte contro i «potenti della terra». Due Nazioni africane come il Mozambico e lo Zimbabwe lo hanno persino disegnato sulla loro bandiera nazionale, in ricordo della guerra di liberazione.

Con almeno 100 milioni gli esemplari circolanti in tutto il mondo, di cui la metà contraffatti, il Kalashnikov  è stato definito da Vladimir Putin, in una ampollosa cerimonia al Cremlino per il 90esimo compleanno del vecchio generale, come «una delle migliori invenzioni del ventesimo secolo».  

Poi, che l'Ak-47 abbia reso  il mondo un posto migliore , è tutto da dimostrare. Ma a questa obiezione, il vecchio generale originario dei Monti Urali, cresciuto in una modesta   casa in un vecchio distretto militare della repubblica russa di Udmurtia,  ripeteva: «Ho inventato quest'arma solo per difendere la patria dalle aggressioni esterne». Che la sua creatura sia finita in mani sbagliate non è, insomma, affare di un  commerciante d'armi votato alla causa. «L'ho disegnato per difendere la patria», ripeteva.

Di certo Mikhail Tymofeyevic Kalashnikov,  a differenza di Eugene Stoner  non ha vissuto tra gli agi, né è diventato miliardario, almeno fino al crollo dell'Urss. Ha vissuto del magro stipendio e della pensione che gli passava il governo, a Izhevesk, in mezzo a un deserto di neve e fabbriche militari. Eppure, nel mondo,  la sua creatura - anche ora che è morto - la tiene stretta al petto un adulto su dieci: una media tra il numero dei Kalashnikov (originali o copiati) e la popolazione mondiale maggiorenne. Anche questa è la sua eredità.

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Paolo Papi