I magistrati non si tagliano lo stipendio (e tutto va bene)
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I magistrati non si tagliano lo stipendio (e tutto va bene)

In Italia c'è solo una categoria cui non è stato toccato il portafoglio, "minerebbe la nostra autonomia"...

“Non siamo egoisti e corporativi” dice Rodolfo Sabelli, il presidente del sindacato delle toghe, l’Anm. E assicura che nella consapevolezza delle “forti difficoltà che investono vasti strati della popolazione, la magistratura non vuole sottrarsi all’impegno di solidarietà”. Come, non lo spiega. Ma questa generosa disponibilità (che sfido chiunque a dimostrare) vale solo a condizione che la redistribuzione delle risorse (i tagli) avvenga “in modo equo”, cioè valga per tutti e si attui attraverso misure fiscali. In fondo, chi meglio di un magistrato può insegnarci che cosa sia equo o non equo? Solo che qui nasce un problema serio. Di comprensione.

Mi vengono alla mente tante domande circa l’equità dello status di magistrato in Italia paragonato a quello di altre categorie (e di altri paesi): i medici, per esempio. Vorrei qui porre per una volta un problema etico, sollevare un’eccezione morale, prima ancora che giuridica. 

Nel 2014, mentre l’Istat ci fa sapere che oltre un milione 100mila famiglie non ha reddito da lavoro (un incremento del 58 per cento in due anni), e il dramma del futuro incombe sui nostri figli e su noi stessi, come tutti più o meno abbiamo direttamente o indirettamente esperienza, è ancora possibile considerare equo, e far passare come necessaria garanzia d’indipendenza, il trattamento privilegiato delle toghe a ogni livello e collegio, dal Tar alla Corte dei Conti, dalla Corte Costituzionale (che è composta pure da toghe) al Consiglio di Stato e alla Cassazione fino all’ultimo dei tribunali?

Francamente, io credo di no. Le reazioni piccate e gli anatemi dei giudici e dei loro rappresentanti al solo sentir parlare di diminuzione degli stipendi suonano offensivi verso milioni di italiani che a parità di responsabilità non riescono più, letteralmente, ad arrivare alla fine del mese o rischiano di perdere il lavoro.

È o no privilegiata e fuori del tempo (comunque la si voglia parametrare) una categoria che nel 2013 ha ottenuto dai “colleghi” della Corte Costituzionale la deroga al blocco degli stipendi sancito dalla legge per tutti gli altri dipendenti pubblici?

Una categoria il cui guadagno annuo medio è circa quattro volte quello del settore pubblico in generale?

Una categoria che si autogoverna e nella quale tutti i suoi componenti, in virtù di scatti automatici di anzianità, raggiunge la retribuzione massima dopo 28 anni di servizio e nella quale l’apice, che ha finora segnato anche il livello dell’asticella insuperabile per la PA, è rappresentato dai 311mila euro del primo presidente della Corte di Cassazione?

Una categoria nella quale solo problemi disciplinari possono ostacolare gli avanzamenti, ma per esempio nel 2011, su 1780 notizie di comportamenti con potenziale rilevanza disciplinare, alla fine i trasferimenti passati al vaglio del Csm (Consiglio superiore della magistratura) e/o del Guardasigilli sono stati 12?

Una categoria che a differenza di tutte le altre non è personalmente responsabile dei propri errori dovuti a dolo o grave negligenza in termini di risarcimento economico (e per questo l’Europa ci ha condannati)?

Una categoria che gode di 45 giorni di ferie l’anno? Per non parlare dei giudici costituzionali, che cumulano indennità e pensione e a turno diventano presidenti della Consulta, sforando i 600mila euro l’anno? E a favore dei quali (in carica, ex, familiari e conviventi) scade tra pochi giorni un bando per l’assistenza sanitaria a spese della Consulta? 

Che senso ha rivendicare la propria autonomia dichiarando che per tutelarla non si può guadagnare “solo” un massimo di 240mila euro l’anno? Forse che sotto quell’asticella i magistrati possono cadere più facilmente in tentazione?

Non voglio neanche pensarlo. Soprattutto se penso agli impiegati comunali, ai tenenti della finanza, ai giornalisti e a quanti, guadagnando di meno, sono soggetti a tentazioni ugualmente (se non più) forti. Però, forse, tutto questo mio discorso è sbagliato, perché nessuno più dei magistrati può insegnarci che cosa sia giusto e equo, e in cosa consistano decoro e sobrietà. E quindi avranno ragione loro a ritenere che più è alto il loro stipendio, maggiore sarà la loro autonomia.    

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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