L’Ucraina ha votato ma non ha vinto nessuno
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L’Ucraina ha votato ma non ha vinto nessuno

Vincono i pro-europeisti, ma nelle repubbliche secessioniste non si è votato. Solo Mosca e la responsabilità del parlamento potranno dipanare la matassa

Per Lookout news

“È ora necessario sostenere i legami nascenti tra Kiev e le Repubbliche Popolari di Lugansk e Donetsk e quindi avviare un dialogo politico globale allo scopo di trovare il modo per raggiungere un accordo nazionale e promuovere una riforma costituzionale con la partecipazione di tutte le regioni e le forze politiche”. Sono le parole che più contano oggi, dopo che si è celebrato senza particolari danni il voto parlamentare in Ucraina. A pronunciarle è stato sabato il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov che, sondaggi alla mano, prefigurava già il probabile risultato delle urne.

 Come atteso, vince la coalizione del presidente Petro Poroshenko, il cui Blocco si attesta intorno al 23%, molto al di sotto delle previsioni che lo davano intorno al 30%. Praticamente a pari merito, si piazza invece il Fronte Nazionale del premier ucraino, Arseniy Yatseniuk, che supera il 21,3% e insidia la leadership del presidente. Al terzo posto, troviamo poi un altro partito filo-occidentale, Samopovich (“Auto-aiuto”), guidato del sindaco di Leopoli Andry Sadovy, che supera il 10% e precede il Blocco d’Opposizione guidato da Yuriy Boiki e formato dagli alleati del presidente deposto Viktor Yanukovych, che ottiene il 9,77%. Dunque, anche i filorussi entrano nella Verkhovna Rada (il parlamento ucraino), sebbene nelle regioni secessioniste dell’Est non si sia votato.

 Deludono molto il Partito Radicale di Oleh Lyashko (7,47%) e il Partito della Patria “Batkivshchyna” dell’ex primo ministro Yuliya Tymoshenko (5,77%), ma entrambi superano la soglia di sbarramento del 5% necessaria per l'ingresso in parlamento. L’affluenza generale è stata del 52%.

Pur essendo i primi tre blocchi fortemente filo-europei, le divergenze tra le loro visioni dell’Ucraina saltano agli occhi

 Analisi del voto e le reazioni a Est
Sette partiti in totale siederanno in parlamento e dovranno esprimere un governo capace di superare la grave crisi che ha infettato l’Ucraina da un anno a questa parte. Commentando il voto in televisione, il presidente Poroshenko ha parlato di “un sostegno forte e irreversibile al percorso dell’Ucraina verso l'Europa”. Insieme, questi partiti dovranno ora accordarsi per costruire il futuro dell’Ucraina, un futuro che tuttavia resta in bilico, vista la tenuta elettorale dell’Est e la sua presenza in parlamento.

 Ciò nonostante, un certo numero di seggi nella Rada, una trentina, resta vacante e corrisponde ai distretti delle regioni di Donetsk, Luhansk e della Crimea, che è stata annessa alla Russia nel marzo scorso e dove dunque non si è votato. I separatisti dell’Est hanno infatti boicottato il voto e programmato di tenere le proprie elezioni domenica prossima (2 novembre), contravvenendo agli accordi di Minsk, dove il 20 settembre si era mediato un cessate-il-fuoco tra governativi e ribelli che, nonostante episodi di sangue verificatisi a Donetsk, ha sostanzialmente tenuto.

 Inoltre, pur essendo i primi tre blocchi fortemente filo-europei, le divergenze tra le loro visioni dell’Ucraina saltano agli occhi. Il presidente Petro Poroshenko, vincitore delle urne, ha certamente maggiori capacità di mediazione del secondo classificato, il premier Yatseniuk, che sin dai primi colpi d’artiglieria ha dimostrato di non voler trattare con i ribelli e ha sostenuto la necessità di soffocare la rivolta a qualsiasi costo. Forte del risultato delle urne, Yatseniuk potrebbe essere tentato di far saltare ogni compromesso per mettere la parola “fine” alla secessione. Cosa che comporterebbe l’uso della forza e riaprirebbe dunque le ostilità.

 Poroshenko, al contrario, si è via via ammorbidito, sedendosi al tavolo delle trattative con americani e russi. Anche se ieri, durante le operazioni di voto, ha indossato una tuta mimetica e si è recato in elicottero nelle zone controllate dai separatisti, per far visita alle truppe dei regolari e ribadire la sua speranza di un futuro europeo per l’Ucraina. Un gesto simbolico che ha inteso infondere sicurezza ai militari ma che non è da interpretare come contrario alla pace.

La strada verso la pace e l’economia ucraina
Una pace che, in ogni caso, è ancora troppo lontana, dato che il presidente non governa affatto l’Est ucraino e dato che la tensione, dopo gli assalti durante la campagna elettorale, resta alta. Almeno 3.700 persone sono state uccise sin dai primi giorni di guerra, 300 delle quali in sporadici scontri tra esercito e separatisti intorno al conteso aeroporto di Donetsk.

 Le violenze nel Paese in questi mesi sono state sconvolgenti e, tanto la strage di Odessa quanto alcuni ritrovamenti di fosse comuni, raccontano di una lacerazione nazionale e di una coesione sociale ormai del tutto evaporate. Molto difficile sarà ricucire i rapporti tra est e ovest, se non verranno garantite autonomie e diritti chiari. Ma a spaventare l’Ucraina adesso è soprattutto il temutissimo “generale inverno”, che costringerà presto il presidente Poroshenko ad assecondare i più miti consigli del Cremlino. Le elezioni parlamentari, infatti, sono avvenute nel bel mezzo di una crisi energetica, dove la Russia ha gioco facile nel poter fare la voce grossa e ha già minacciato di tagliare definitivamente le forniture di gas, dopo che a giugno è sorta una disputa sulle fatture non pagate dal governo di Kiev a Mosca.

 L’Ucraina oggi non ha alternative valide e la sua economia sta rapidamente crollando, con il Pil nazionale che quest’anno, secondo le stime internazionali, dovrebbe scendere tra il 7% e il 10%. Né saranno sufficienti i 17 miliardi di dollari stanziati ad aprile, in piena guerra civile, dal Fondo Monetario Internazionale, come prestito per aderire alla causa europea.

 Martedì prossimo è attesa a Mosca una delegazione ucraina per discutere proprio di accordi energetici e già da quell’incontro sapremo cosa aspettarci per le forniture di questo inverno e quale exit strategy ha disegnato il Cremlino per ovviare alla crisi. Solo Mosca, infatti, appare in grado di dipanare questa intricata matassa, capace di danneggiare seriamente tutta Europa.

 Mentre, internamente, la prova di tenuta di parlamento e governo sarà direttamente proporzionale alla risposta politica che sapranno dare i due leader Poroshenko e Yatseniuk: pur essendo entrambi pro-Europa, la loro diversa visione su come gestire la guerra civile e la maggior forza elettorale su cui può contare adesso il premier Yatseniuk, potrebbero mandare in stallo i lavori parlamentari o, peggio, far degenerare ulteriormente la situazione.

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Luciano Tirinnanzi