Lo schiaffo del Papa al nunzio: sarà processato da un tribunale di laici
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Lo schiaffo del Papa al nunzio: sarà processato da un tribunale di laici

Si apre l’11 luglio il processo a monsignor Wesolowski, l’arcivescovo polacco accusato di pedofilia. Tutto quello che c’è da sapere.

L’appuntamento è fissato per la mattina dell’11 luglio presso il Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, a due passi da Casa Santa Marta dove vive Papa Francesco. Mentre il pontefice è in viaggio in America Latina a migliaia di chilometri di distanza, si apre una pagina nuova nella storia della giustizia vaticana: per la prima volta all’interno delle mura leonine viene giudicato un arcivescovo accusato di pedofilia. Si tratta dell’ex nunzio polacco nella Repubblica Domenicana, monsignor Jozef Wesolowski. Non solo. Per la prima volta nella storia un arcivescovo di Santa Romana Chiesa sarà processato da un collegio giudicante interamente composto da laici: il presidente sarà infatti Giuseppe Dalla Torre, affiancato dai giudici Piero Antonio Bonnet e Paolo Papanti Pelletier. Giudice supplente: Venerando Marano. Cancelliere: Raffaele Ottaviano. L’accusa sarà impersonata dal promotore di giustizia Gian Piero Milano e dai suoi due «aggiunti»: Alessandro Diddi e Roberto Zannotti. La difesa del monsignore è affidata all’avvocato Antonello Blasi che era stato indicato come legale d’ufficio all’atto dell’arresto (il 22 settembre 2014) e poi è stato confermato come avvocato di fiducia.

Di cosa è accusato il monsignore polacco?
I fatti sono noti: l’arcivescovo Wesolowski, buon amico di san Giovanni Paolo II e del suo segretario, il cardinale Stanislaw Dziwisz, è stato nominato nunzio nella Repubblica Domenicana e delegato apostolico a Porto Rico il 24 gennaio 2008. Cinque anni dopo, il 21 agosto 2013 è costretto a dimettersi travolto dalle accuse di aver ripetutamente abusato negli anni di bambini domenicani costretti a prostituirsi e di possedere nei suoi computer una mole ingente di foto e filmati pedopornografici. Il grande accusatore è un diacono locale, suo assistente, che ha denunciato di essere stato costretto dall’arcivescovo a procurargli continuamente bambini per rapporti sessuali. Wesolowski, nonostante le accuse, è rimasto a lungo al suo posto, finché un’inchiesta condotta dalla giornalista televisiva Piera Nuria e le proteste dei vescovi locali, non hanno spinto la Santa Sede a sollevarlo dall’incarico e richiamarlo a Roma nell’agosto 2013. Nel frattempo era già stato aperto un fascicolo a suo carico anche dalla procura della Repubblica Domenicana. Ma a quanto pare neppure durante il suo soggiorno a Roma, presso la Casa internazionale del Clero a via della Scrofa, Wesolowski ha smesso di compiere i suoi crimini: secondo l’accusa pure in quel periodo avrebbe continuato a raccogliere e immagazzinare nel suo computer materiale pedopornografico, costringendo così la magistratura vaticana ad arrestarlo e a rinchiuderlo nella Casa dei Penitenzieri. Attualmente, per ragioni di salute in attesa del processo, la carcerazione preventiva dell’arcivescovo polacco è stata convertita in obbligo di dimora, nello stesso luogo, senza la possibilità di allontanarsi dalla Città del Vaticano.

Wesolowski ha già subito un processo canonico?

L’arcivescovo è già stato processato dalla giurisdizione canonica: la Congregazione per la dottrina della fede (l’organismo competente a giudicare i cosiddetti «delicta graviora» come le violenze sui minori) ha acquisito dalla magistratura domenicana le prove a carico di Wesolowski (i verbali delle testimonianze dei bambini e dei suoi collaboratori, le testimonianze dei vescovi del luogo, le perizie informatiche) e lo ha condannato alla pena più grave, cioè la riduzione allo stato laicale. Si è trattato di un processo «penale amministrativo canonico». Ora si attende il deposito della sentenza contro la quale, molto probabilmente, il presule farà appello. Intanto però la decisione dell’ex sant’Uffizio è già esecutiva: il monsignore polacco non solo è stato dimesso dal corpo diplomatico della Santa Sede ma gli è stato anche tolto lo stato clericale.
Tuttavia il Papa, anche come segnale da dare all’esterno, ha fortemente voluto che Wesolowski venisse processato pure dinanzi a un tribunale civile come è, a tutti gli effetti, quello presso lo Stato della Città del Vaticano. Per fare questo ci sono voluti due precisi atti normativi: il primo è un «Motu Proprio» (cioè una legge emanata direttamente dal Papa) dell’11 luglio 2013, intitolato «Ai nostri tempi», che estende la giurisdizione del tribunale vaticano anche ai pubblici ufficiali della Santa Sede, come era il nunzio polacco. Il secondo è un «rescritto di udienza» di Francesco del settembre scorso che ha autorizzato il Tribunale vaticano a processare l’arcivescovo. Di norma, infatti, arcivescovi e vescovi potrebbero essere giudicati solo da un’apposita commissione di tre membri nominata personalmente dal Papa. Il «rescritto» papale invece demanda il giudizio al Tribunale composto da soli laici.

L’ex nunzio può essere processato due volte?
Tra la giurisdizione penale canonica e quella penale civile, di fronte al Tribunale vaticano non vi è alcuna sovrapposizione né interferenza, ha sottolineato il promotore di giustizia, Gian Piero Milano, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il 31 gennaio scorso. Ha respinto così la tesi di quanti sostengono che il prelato polacco non può essere giudicato dalla giurisdizione vaticana perché già condannato dalla Congregazione per la dottrina della fede. «Ci si è posti il dubbio se l’esistenza di una concorrente giurisdizione di organi statuali vaticani (il nostro Tribunale) e di organi canonici (la Congregazione per la dottrina della fede) su una medesima fattispecie penale potesse costituire violazione del principio generale “ne bis in idem” (“non due volte per la stessa cosa”, ndr)», riferisce Milano. E risponde che tale dubbio è da fugare poiché «altro sono le sanzioni previste dalle leggi penali vaticane, altro le sanzioni canoniche attribuite alla competenza della Congregazione per la dottrina della fede nei confronti dei chierici. Nelle prime si realizza la giurisdizione dello Stato, per le seconde opera la giurisdizione sullo status (del sacerdote, del vescovo ecc. ndr)».

Quali pene rischia Wesolowski?
Sono due i principali capi di accusa a carico del monsignore: anzitutto la detenzione di materiale pedopornografico con l’aggravante dell’ingente quantità. Si parla di centinaia di migliaia di file di foto e filmati rinvenuti nel computer della nunziatura e nel portatile dell’arcivescovo, che Wesolowski avrebbe continuato a raccogliere anche quando ormai era stato richiamato a Roma a partire dall’agosto 2013. In questo caso si applica la legge VIII emanata da Papa Francesco nel luglio 2013 che sanziona proprio questo tipo di reati. Il presule rischia fino a 24 mesi di carcere che possono però essere aumentati a discrezione del giudice a causa delle aggravanti.
Per i reati di violenza sui minori, che il monsignore polacco avrebbe compiuto invece nella Repubblica Domenicana, si deve applicare il codice penale Zanardelli del 1889, che il Vaticano recepì nel suo ordinamento ed è tuttora vigente. Si può ben immaginare che quel codice non prevedeva i reati di pedofilia come li intendiamo oggi. Tuttavia al caso di Wesolowski si possono applicare gli articoli 335 e 372 che sanzionano «la corruzione mediante atti di libidine» (pena prevista: fino a 30 mesi di reclusione) e le «lesioni personali gravi» comminando pene che possono andare da uno a cinque anni secondo la gravità. Nelle lesioni personali gravi sono compresi anche i danni psicologici. Sommando tutte le pene previste, Wesolowski rischia fino a 9 anni di carcere.

Quanto durerà il processo?

Le indagini, ormai concluse, sono durate oltre otto mesi: sono state coordinate dal promotore di giustizia Milano e condotte dalla gendarmeria vaticana sotto la responsabilità del comandante, Domenico Giani. Gli inquirenti vaticani hanno acquisito dalla Congregazione per la dottrina della fede il materiale probatorio che era giunto dalla Repubblica Domenicana. Tuttavia, poiché il processo si svolgerà secondo le norme del codice di procedura penale Finocchiaro-Aprile del 1913, ammodernato con la legge IX del 2013, la fase dibattimentale sarà molto importante. Fondamentali saranno le prove che verranno portate dinanzi al tribunale. Non è da escludere che la difesa chieda la perizia psichiatrica per il monsignore, mentre l’accusa potrebbe portare in aula dei testimoni. La magistratura domenicana ha fornito documenti e verbali con i racconti delle vittime ma il Vaticano potrebbe presentare richiesta di rogatoria per portare altre prove e testimonianze: a cominciare dal diacono Francisco Javier Occi Reyes, ex collaboratore del nunzio e ora suo grande accusatore. Arrestato dalla polizia domenicana, il diacono avrebbe rivelato di essere stato lui ad avvicinare i bambini poveri per portarli all’arcivescovo. Per questa ragione potrebbe essere chiesta anche una rogatoria alla Repubblica Domenicana.
La prima udienza del processo, l’11 luglio, sarà certamente pubblica ma è molto probabile che, riguardando reati su minori, la difesa chieda che le udienze successive si svolgano a porte chiuse. Il processo entrerà nel vivo tra settembre e ottobre. Si prevede che per giungere alla sentenza ci vorrà almeno un anno. Se condannato, Wesolowski avrà facoltà di appello.

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Ignazio Ingrao

Giornalista e vaticanista di Panorama, sono stato caporedattore dell’agenzia stampa Sir e diretto il bimestrale Coscienza. Sono conduttore e autore della trasmissione A Sua Immagine su RaiUno

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