Anche l'Italia ha pagato Isis
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Anche l'Italia ha pagato Isis

Per liberare Federico Motka il governo ha versato 6 milioni di euro. Malgrado il no di Usa e Gb

per LookOut News

Anche l’Italia finanzia la jihad islamica. Per liberare il cooperante italo-svizzero Federico Motka, rapito in Siria, Roma ha pagato un riscatto di almeno 6 milioni di euro ai decapitatori dei giornalisti Usa James Foley e Steven Sotloff, che ora minacciano di decapitare il contractor inglese David Haines. Grazie anche ai soldi ricevuti dal governo italiano, i tagliagole dello Stato Islamico finanziano il Califfato.

Che l’Italia pagasse per la liberazione dei propri ostaggi era cosa nota fra gli addetti ai lavori. Ma Panorama è per la prima volta in grado di ricostruire in dettaglio i retroscena del pagamento del riscatto per un cittadino italiano. Riscatto che non sarà invece pagato per il britannico David Hawthorne Haines, il prossimo ostaggio che, secondo le minacce dello Stato Islamico, morirà in Iraq. A differenza del governo romano, quello londinese mantiene la linea della fermezza e non si piega ai terroristi.

Haines è l’ex militare, oggi contractor privato, rapito in Siria il 12 marzo del 2013 mentre faceva da guardia del corpo ai cooperanti del campo profughi di Atmeh, tra cui proprio l’italosvizzero Federico Motka, sequestrato insieme a lui. A differenza sua, però, Motka è stato rilasciato il 25 maggio scorso, grazie alla mediazione dei servizi segreti italiani, come ha annunciato lo stesso premier Matteo Renzi. Un modus operandi, quello di Roma, che spesso ha creato grande irritazione nei governi di Londra e Washington, fedeli alla linea dell’intransigenza. Politica, peraltro, che lo Stato italiano aveva seguito fino al 16 marzo 1978.

Lo spartiacque fu il drammatico rapimento del presidente della Democrazia cristiana, Aldo Moro, a opera delle Brigate rosse. La linea dell’allora governo Dc fu irremovibile: «Non si tratta con i terroristi». Risultato di quella dolorosa decisione, l’uccisione dell’ostaggio. Forse traumatizzati da quell’esperienza, i 30 governi che da allora si sono succeduti hanno radicalmente mutato approccio. La «linea della fermezza» non è mai più stata all’ordine del giorno durante le riunioni di crisi a Palazzo Chigi, né i vari governi (di centro, destra o sinistra) hanno mai contemplato operazioni militari di recupero o esfiltrazione di ostaggi. È un dato di fatto che tutti gli italiani rapiti all’estero (da Giuliana Sgrena a Simona Pari e Simona Torretta, fino a Domenico Quirico) siano stati liberati dietro il pagamento di riscatti milionari. Ne consegue che i nostri governi non solo hanno trattato con i terroristi, ma anche distribuito milioni di euro di denaro pubblico poi finiti in mano ad assassini come il «boia nero», l’autore del video della decapitazione di Steven Sotloff.

Alla voce «spese riservate», il Capitolo 1021 del bilancio dell’Aise, l’Agenzia informazioni e sicurezza esterna, ex Sismi, permette lo stanziamento straordinario di ingenti quantità di denaro (si stima che il budget arrivi fino a 680 milioni di euro l’anno), utilizzati per la sicurezza dei cittadini in Italia e all’estero.

L’Mi6, il servizio segreto di Sua Maestà per le operazioni oltremare, non paga alcun riscatto, piuttosto agisce. La famiglia di David Haines è dunque a conoscenza, così come lo sono tutti i cittadini del Regno Unito, della linea di Downing street. Anche per questo Philip Hammond, ministro degli Esteri inglese, ha precisato che unità speciali delle Forze armate statunitensi e britanniche avevano tentato un blitz a luglio per liberare Haines, senza però riuscirvi. Oggi all’inglese è stata promessa la stessa atroce sorte di Foley e Sotloff. Le linee guida del governo di Roma (l’ha dimostrato anche il caso dei marò) prevedono invece solo prudenza: all’azione si preferisce «il prezzo della diplomazia».


Quando un cittadino italiano è rapito all’estero, l’Unità di crisi della Farnesina (ministero degli Esteri) attiva i consulenti del governo di stanza nell’ambasciata più vicina al luogo in cui è avvenuto il sequestro. Il 12 marzo 2013 la nostra ambasciata in Siria era già stata evacuata. A farne le veci, da allora è l’ambasciata in Turchia, con sede ad Ankara e due uffici a Istanbul e Smirne, che secondo i colleghi turchi svolge un eccellente lavoro. La Turchia è la principale rete di collegamento con la Siria, sia per posizione geografica sia per l’ambiguo ruolo di Ankara.

Dal momento della segnalazione del rapimento di Motka, gli uomini dell’Aise hanno attivato i contatti con fonti e informatori locali, per scoprire le modalità del sequestro e le richieste dei rapitori. E il Mit (Milli Istihbarat Teskilati), il servizio segreto turco, ha giocato un ruolo centrale.

Sono stati gli stessi uomini dell’intelligence turca (e non i nostri militari) a consegnare materialmente i contanti, in cambio dell’ostaggio italiano, come già avvenuto per Domenico Quirico. Come prevede la legge, per la liberazione di Motka i servizi hanno stanziato dal budget (coperto da segreto di Stato) i 6 milioni di euro. Soldi che dalla Banca d’Italia sono passati per un conto riservato nelle disponibilità dei governativi, fino alla consegna a mano agli intermediari turchi. Varcato il confine, gli uomini del Mit hanno regolato il conto attraverso un infiltrato tra i miliziani che in quel momento detenevano Motka.

A rapire gli stranieri possono essere anche criminali comuni. In questo caso, i predoni li «vendono» a organizzazioni, come lo Stato Islamico, in grado di avviare trattative con i governi. È il caso di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due ragazze italiane rapite in Siria a inizio agosto, che presto o tardi potrebbero essere rivendute proprio ai tagliagole del Califfato. Soprattutto se il governo italiano, come annunciato, interverrà nel conflitto iracheno a fianco della coalizione internazionale. Se Roma deciderà di attivare per la liberazione i consueti canali, dovrà muoversi molto in fretta. Prima che, da merce di scambio, le due ragazze diventino strumento di rappresaglia.

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Luciano Tirinnanzi