L’incontro tra Kerry e Putin: prove di dialogo rinviate tra USA e Russia
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L’incontro tra Kerry e Putin: prove di dialogo rinviate tra USA e Russia

Mentre Obama e Castro proseguono nella strada del disgelo, il viaggio a Sochi del segretario di Stato porta solo timide aperture

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Durante il volo che ieri, martedì 12 maggio, lo ha portato a Sochi per l’incontro con il presidente russo Vladimir Putin e il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, il segretario di Stato John Kerry sapeva di doversi preparare ad affrontare una partita delicata.

 I toni trionfalistici con cui sempre ieri il presidente cubano Raul Castro ha annunciato che Cuba e Stati entro la fine di maggio nomineranno ambasciatori nelle rispettive capitali, appartengono a un altro mondo, dove i dissapori covati per oltre mezzo secolo possono essere ormai lasciati alle spalle e ha dunque senso parlare di disgelo.

 Quelli compiuti invece al termine del bilaterale di Sochi possono semmai essere considerati come dei primi passi in avanti verso una graduale normalizzazione dei rapporti tra Stati Uniti e Russia. Nel suo viaggio in Russia, il primo di un funzionario di alto livello del governo americano dall’inizio della guerra civile in Ucraina nell’aprile del 2014, Kerry ha prima avuto un colloquio di quattro ore con Putin e, successivamente, un altrettanto intenso faccia a faccia con Lavrov, anticipato dalla deposizione di corone di fiori davanti a un memoriale dedicato ai soldati sovietici caduti nella seconda guerra mondiale.

 In una conferenza stampa congiunta al termine degli incontri, Lavrov e Kerry hanno tenuto a sottolineare che, nonostante le tensioni diplomatiche, Stati Uniti e Russia si muovono nella stessa direzione per la risoluzione di diverse crisi internazionali: la distruzione delle armi chimiche in Siria, il contrasto allo Stato Islamico in Medio Oriente e Nord Africa, l’accordo sul nucleare iraniano, il conflitto in Yemen e la cooperazione nello spazio.

 

La crisi in Ucraina
Lavrov ha detto che da ora in avanti è assolutamente necessario non inciampare più in altri errori che potrebbero complicare ulteriormente le relazioni tra i due Paesi. Il riferimento del capo della diplomazia estera russa è ovviamente all’Ucraina. Stati Uniti e Russia concordano sul fatto che solo rispettando la roadmap tracciata a Minsk lo scorso febbraio da Putin, Poroshenko, Merkel e Hollande, si potrà arrivare alla fine del conflitto.

 

Eppure le perplessità su questa unione di intenti restano. Alla domanda su cosa pensasse delle ultime dichiarazioni di Poroshenko, il quale ha detto che l’esercito ucraino farà di tutto per riprendere il controllo dell’aeroporto di Donetsk, Kerry ha glissato. E sulle sanzioni imposte dall’Occidente alla Russia, si è limitato a dire che verranno ritirate solo “se e quando” tutti i punti del patto di Minsk verranno applicati.

 

Le forze USA in territorio ucraino
Un auspicio che però difficilmente potrà trovare riscontro nell’immediato. Nel Donbass, di fatto, non si è mai smesso di combattere. Inoltre, la presenza di truppe americane in territorio ucraino non può che indispettire Mosca. Una delegazione militare statunitense, guidata dal comandante dell’esercito USA in Europa, Frederick ‘Ben’ Hodges, si appresta a visitare l’International Peacekeeping and Security Center (IPSC), ex base militare sovietica situata nei pressi nella zona di Yavoriv, nella regione di Lvov, a poche decine di chilometri dal confine con la Polonia.

 Si tratta del più grande poligono d’Europa (si estende su un’area di 40.000 kmq), che ospita periodicamente esercitazioni militari internazionali a cui partecipano i Paesi della NATO. A metà aprile a Yavoriv sono arrivati 290 istruttori paracadutisti della 173rd Airborne Brigade, con base a Vicenza, il cui compito sarà quello di addestrare circa 900 soldati delle truppe governative ucraine.

Mosca non ha mai nascosto il disappunto per un dispiegamento di forze in territorio ucraino che non va affatto nella direzione degli accordi di Minsk. E il concetto è stato ribadito da Lavrov a Kerry. Ecco perché, a conti fatti, da Sochi il segretario di Stato americano è tornato a Washington con una valigia carica più di dubbi che di rassicurazioni per il futuro.

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Rocco Bellantone