Libia, l’Onu sconfessa l’Italia e abbandona l’Egitto
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Libia, l’Onu sconfessa l’Italia e abbandona l’Egitto

Il dietrofront all’Onu sull’intervento militare chiesto dal Cairo è l’ennesima dimostrazione dell’incapacità operativa delle Nazioni Unite

Partono incendiari e tornano pompieri. È sempre così in Italia. Riforme, giustizia, politica in generale. Già, la politica. “L’unica soluzione possibile” secondo il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che, con una manovra azzardata, fa un’inversione a U sull’intervento in Libia e, rivolgendosi al parlamento, ridimensiona nettamente l’avventura militare sbandierata come possibile soluzione al caos libico. Adesso, fa sapere la Farnesina, “la speranza migliore per i libici è la formazione di un governo di unità nazionale”.

 

L’insuccesso alle Nazioni Unite 

Intanto, Bernardino León, inviato dalle Nazioni Unite a negoziare un’exit strategy diplomatica per il Paese, ha chiesto e ottenuto dall’inane segretario Onu Ban Ki Moon “altri giorni” per portare avanti il negoziato. Quanto ancora crede di poter ottenere il Palazzo di Vetro dell’Onu è un vero mistero della fede. Quella stessa fede che anima i miliziani salafiti fedeli allo Stato Islamico e che li ha spinti a insinuarsi nel conflitto libico, nella speranza di sventolare le proprie bandiere anche nel Mediterraneo.


Se l’operazione in Libia degli affiliati al Califfato potrebbe non attecchire mai definitivamente - così come per Baghdad, è irrealizzabile anche una conquista di Tripoli - è pur vero che la destabilizzazione è già riuscita. Il successo politico dello Stato Islamico, infatti, supera di netto quello militare e ottiene lo scopo che si prefiggeva, terrorizzare il mondo occidentale e arabo.

Oggi, intanto, si rinnova l’impasse all’Onu dove l’Egitto non ha ottenuto altro che solidarietà e qualche pacca sulle spalle, ma non aiuti concreti per la difesa dei propri confini. “Ok ai bombardamenti come ritorsione per i copti sgozzati, ma per mettere i piedi sul terreno, bisogna aspettare” si è sentito dire Sameh Shoukry, ministro degli Esteri del Cairo inviato a New York in cerca di sostegno internazionale. Niente da fare, ribadiscono gli Stati Uniti. Solo Parigi è andata incontro al presidente-generale Al Sisi, firmando lunedì 16 febbraio un accordo militare da 5,2 miliardi di euro per la fornitura di 24 jet da combattimento che i militari egiziani non vedono l’ora di sfruttare.

La posizione dell’Egitto

L’Egitto si ritrova dunque da solo a combattere in Libia, ma non si lascia certo intimorire: è di stamani 18 febbraio la notizia di un’offensiva terrestre su Derna, bastione di ISIS, e di nuovi raid per fermare le milizie di Al Baghdadi. Del resto, Il Cairo ha ragione di temere per l’avanzata jihadista in Libia (e qualcosa da dire l’avrebbero anche Tunisia e Algeria), dal momento che sono centinaia di migliaia gli immigrati egiziani in Tripolitania e Cirenaica a rischio di rapimento o uccisione. Ma l’Occidente persegue la medesima linea tenuta in Iraq e Siria, così come in Ucraina: attendere, attendere ancora.

Così, anche il governo di Roma si adegua e, aspettando Godot, si ritrova con un nulla di fatto in mano e con nuovi imminenti sbarchi clandestini al confine meridionale. Certo, gli annunci dei ministri degli Esteri e della Difesa italiani erano stati forse imprudenti ma, nella sostanza, non erano insinceri. La Libia è davvero a rischio, così come lo sono i nostri interessi in Nord Africa e così come lo sono i nostri concittadini, e qualcosa bisognerebbe pur fare.

Il ruolo che non c’è per l’Italia

Ma il nostro governo non ha né la forza, né la volontà, né la libertà di agire - e nemmeno l’agibilità politica - per tentare di offrire una risposta, se non una soluzione, alla guerra civile libica, che ormai va avanti a corrente alternata da quattro anni tra le diverse anime del Paese, in mezzo alle quali si sta ritagliando uno spazio proprio anche il Califfato Islamico.

Per meglio comprendere il peso dell’Italia, basti sapere che il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, ha appena scelto Michel Barnier quale consigliere speciale per la Difesa europea e le politiche della Sicurezza, sottraendo così a Federica Mogherini due deleghe che dovrebbero appartenere all’Alto commissario per la politica estera dell'Unione. 

 

Le Nazioni Unite, un ente ormai in preda all’atarassia e alla Sindrome di Kleine-Levin, rara malattia che consiste nell’ipersonnia e nella fame (di soldi) patologica, predica anche per la Libia il solito refrain di una “soluzione politica” o meglio “diplomatica”. Per ora. Andrebbe aggiunto tuttavia che già alla vigilia dell’intervento Iraq si cominciò proprio così, preparando il terreno a suon di annunci e smentite. Dunque, la linea generale odierna è attendere, magari per scoprire solo più avanti che una soluzione politica in Libia in queste condizioni non esiste, poi si vedrà.

 Intanto, osserveremo indifferenti lo scorrere di altro sangue e vedremo crescere il rischio di minacce dirette alla nostra sicurezza senza colpo ferire. The show must go on.

MAHMUD TURKIA/AFP/Getty Images
Scontro a fuoco tra governativi e miliziani filo-Gheddafi a Wershefana, sobborgo alla periferia di Tripoli

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Luciano Tirinnanzi