Libia, le ragioni della missione umanitaria (e militare) dell’Italia
ANSA/ANGELO CARCONI
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Libia, le ragioni della missione umanitaria (e militare) dell’Italia

Quali sono i motivi e gli interessi del nostro Paese dietro l'invio di duecento parà della Folgore a Misurata

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A meno di 48 ore dall’avanzata nella Mezzaluna Petrolifera delle truppe dell’LNA (Libyan National Army) fedeli al generale Khalifa Haftar, l’Italia manda un segnale forte a sostegno del nuovo governo di accordo nazionale GNA (Government of National Accord) guidato dal premier designato dalle Nazioni Unite Faiez Serraj.

 È stato nella serata di ieri, lunedì 12 settembre, il quotidiano La Repubblica a dare per primo la notizia della decisione del governo italiano di inviare a Misurata 100 tra medici e infermieri militari e 200 paracadutisti del 186esimo reggimento della Folgore. Nella città che finora ha subito il maggior numero di vittime e feriti tra i miliziani libici che stanno combattendo contro i jihadisti dello Stato Islamico asserragliati a Sirte, l’Italia effettuerà una missione umanitaria che prevede la creazione di un ospedale da campo. Secondo il piano l’ospedale verrà costruito all’interno della locale accademia aerea, dove sono già operative forze speciali americane, britanniche e italiane.

 La struttura e gli operatori sanitari che vi lavoreranno verranno protetti non solo dai 200 paracadutisti della Folgore ma avranno garantita copertura aerea dei caccia e dei droni dell’Aeronautica pronti a decollare dalla portaerei Garibaldi e dalle basi di Trapani, Gioia del Colle e Sigonella.

 Oggi, martedì 13 settembre, alle 13 il ministro della Difesa Roberta Pinotti e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni presenteranno nei dettagli il piano alle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato. Nel pomeriggio, sempre secondo La Repubblica, dal porto di La Spezia dovrebbe salpare in direzione di Misurata la nave San Marco della Marina Militare a bordo della quale sono stati già caricati mezzi e uomini per la missione.

 

Gli interessi dell’Italia in Libia
La richiesta di un intervento dell’Italia in Libia, soprattutto nella martoriata Misurata dove ha sede il quartier generale delle forze militari fedeli al governo di Serraj, era stata avanzata da tempo dal nuovo esecutivo libico. L’ultimo a riceverla, in ordine di tempo, era stato il sottosegretario degli Esteri Vincenzo Amendola nel corso della sua visita a Tripoli dello scorso 9 agosto. Finora i combattenti delle brigate di Misurata feriti gravemente negli scontri con ISIS erano stati trasferiti in ospedali in Italia ma anche in Tunisia, Marocco e Algeria. Adesso l’Italia fa un altro deciso passo in avanti. “I militari del Governo di accordo nazionale - ha affermato poche ore fa il ministro Pinotti - stanno combattendo il terrorismo anche per noi, non possiamo girarci dall’altra parte. Li abbiamo curati in Italia, abbiamo inviato medicinali, li sosterremo anche in Libia”.

 I 220 paracadutisti della Folgore non saranno i primi militari italiani a mettere piede in Libia. Nuclei delle nostre forze speciali negli ultimi mesi hanno infatti partecipato all’assalto alla roccaforte jihadista di Sirte. Roma ha scelto di seguire il modus operandi di Parigi e Londra, con corpi scelti e poco clamore. La missione, come confermato dal Copasir (Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica), ha visto finora impiegati uomini del Reggimento Col Moschin, del gruppo operativo incursori del Comsubin, del gruppo intervento speciale dei carabinieri e incursori dell’aeronautica militare.

 Pur mantenendo un basso profilo, l’Italia è dunque da tempo schierata in prima linea per la difesa del complesso insediamento al potere del nuovo governo del premier Serraj. L’obiettivo, come sottolineato a inizio agosto dallo stesso Gentiloni, politico notoriamente molto cauto nelle sue dichiarazioni, è riaprire nel più breve tempo possibile l’ambasciata a Tripoli, chiusa nel febbraio 2015, dove andrà a insediarsi il nuovo ambasciatore Giuseppe Perrone. Nella road map dell’intervento italiano in Libia, la presenza istituzionale e militare nella capitale libica e nei territori controllati dal GNA è fondamentale principalmente per altri due motivi: avere la possibilità di controllare alla fonte i flussi migratori diretti verso le coste italiane e scongiurare nuove tragedie umanitarie nel Mediterraneo; presidiare giacimenti, pozzi, pipeline, terminal portuali e piattaforme petrolifere gestiti dall’italiana ENI. Quest’ultimo è lo stesso motivo per cui Francia e Regno Unito rispetto all’Italia guardano invece con interesse all’altro versante della Libia, la Cirenaica, dove soprattutto i francesi non hanno lesinato negli ultimi mesi investimenti militari e finanziari a sostegno della stabilizzazione della posizione del generale Haftar.

 Si ritorna dunque, inevitabilmente, al petrolio. Dopo il blitz con cui le forze di Haftar tra domenica 11 e lunedì 12 settembre hanno sottratto al controllo delle milizie della Guardia Petrolifera guidata da Ibrahim Jadran i terminal petroliferi di Es Sider, Ras Lanuf, Zuwaytina e Al-Brega, il ministero della Difesa del GNA ha dato incarico al ministro della Difesa Bhargati, ex ufficiale in passato agli ordini di Haftar, di preparare una controffensiva per riconquistare i porti. Mentre i governi di Francia, Germania, Italia, Spagna, Stati Uniti e Regno Unito in una dichiarazione congiunta hanno chiesto alle milizie della Cirenaica di ritirarsi dai siti petroliferi.

 Ufficialmente, la comunità internazionale si schiera dunque compatta contro Haftar. Ciò che conta in Libia, come detto, è però il petrolio. E in questa nuova fase del conflitto libico una delle poche certezze al momento è che nessuno degli attori in campo, al netto delle formali prese di posizione, perderà di vista questo obiettivo.

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Rocco Bellantone