L'eroe americano era solo un disertore
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L'eroe americano era solo un disertore

Per la liberazione di Bowe Bergdahl gli Usa avevano rilasciato cinque leader talebani. Ora il militare è accusato di diserzione

Il modo in cui era scomparso quella sera del 30 giugno 2009 dalla sua base nella provincia afghana di Paktika ed era poi riapparso in un video, qualche settimana dopo, prigioniero dei talebani, era sempre stato un mistero. Quando era stato rapito? Si era perso mentre era in servizio di pattuglia? Non era riuscito a rientrare alla base? Si era allontanato da solo e spontaneamente?

Alcuni mesi dopo il suo rientro negli Stati Uniti, ora le autorità militari hanno una risposta a queste domande: il Sergente di Prima Classe Bowe Bergdahl è un disertore.

Le trattative per il rilascio

L'accusa è pesante. Altro che eroe. Il militare ha disertato e poi è finito nelle mani dei talebani. Si è consegnato. Per questo è stato anche accusato di comportamento negligente di fronte al nemico. Il codice militare è severo e ora Bergdahlrishcia una possibile condanna all'ergastolo per il secondo reato e cinque anni di prigione per il primo.

Ma, c'è un altro, importante aspetto di questa vicenda. Il giovane dell'Idaho è stato rilasciato lo scorso maggio, dopo cinque anni di prigionia, in cambio della liberazione di cinque leader dei talebani che erano detenuti negli Usa.

"Ne valeva la pena?" - è stata la domanda che è staat rivolta a Jen Psaki, la portavoce del Dipartimento di Stato. "Certo" - è stata la sua risposta, la prima che è arrivata dall'amministrazione Obama dopo la diffusione della notizia che Bergdahl era stato incriminato.

Le critiche per quella trattative erano state pesanti. I sospetti dei reali motivi per cui il militare era scomparso erano stati già avanzati da molte parti. Allora c'era chi diceva che rilasciare cinque capi dei talebani fosse un clamoroso errore, tanto più che l'operazione era finalizzata per riavere un probabile disertore.

Ma, Obama decise andare avanti. Voleva portare a casa l'ultimo prigioniero di guerra americano, voleva trovare un canale di comunicazione con i talebani in vista del disimpegno americano dall'Afghanistan. E così, caparbiamente, l'amministrazione americana andò avanti con le trattative anche se gli islamisti di volta in volta alzavano il prezzo, chiedevano il rilascio di un numero sempre maggiore di loro prigionieri.

E'stata una trattativa dei forti contorni "politici". In questo caso, la Casa Bianca ha voluto pagare un prezzo. Una situazione ben diversa da quella che poi si è presentata con gli ostaggi americani dell'Isis.

Come Homeland

Bowe Bergdahl ha passato cinque anni con loro. La sua prigionia è stata avvolta dal mistero. Ogni tanto compariva in qualche video che i guerriglieri islamici mandavano in rete. Per la sua liberazione era nato un comitato, i genitori del giovane avevano lanciato appelli pubblici a Obama, avevano mobiltato l'opinione pubblica.

Ad un certo punto, qualcuno aveva paragonato il caso di Bergdahl a quello del Sergente Brody, il protagonista di Homeland. Un soldato prigioniero che aveva sposato la causa del nemico. Non era così. Rimangono ancora misteriosi i motivi della sua diserzione. Dove voleva andare quella sera il militare dopo che aveva abbondato la sua base? Secondo alcune fonti, il giovane aveva scritto molte lettere al padre in cui si diceva disgustato dalla guerra, dall'uccisione di un bambino investito da un mezzo del'esercito americano. Era un idealista in patria, lo era rimasto anche in Afghanistan.

Bergdahl ha collaborato con loro?  I  talebani dopo averlo preso avevano alimentato i dubbi sulle sue intenzioni. In uno dei tanti video che avevano diffuso su di lui dicevano che Bergdahl era diventato un istruttore dei guerriglieri islamici. In seguito, loro stessi avevano smentito questa versione dei fatti, dicendo che il sergente aveva accettato qual ruolo solo per tentare di fuggire. E'vera la prima o la seconda verità? 

Quello che si sa adesso dell'ultimo prigioniera di guerra americano è che era un disertore. Perché non amava quella guerra.




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Michele Zurleni

Giornalista, ha una bandiera Usa sulla scrivania. Simbolo di chi vuole guardare avanti, come fa Obama. Come hanno fatto molti suoi predecessori

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