I pericolosi inviti di Cecile Kyenge
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I pericolosi inviti di Cecile Kyenge

Ius soli, modifica della legge Bossi-Fini. Per i disperati sono buoni motivi per rischiare la vita nel mediterraneo. E' giusto?

Quanta superficialità, quanta pericolosa retorica e quanta confusione si sta facendo a Lampedusa con la passerella di politici e ministri e presidenti della Camera e prelati. E quanta demagogia attorno alla legge Bossi-Fini

I profughi vanno soccorsi, ma forse (dico forse) è sbagliato consentire che intere famiglie, non tutte di profughi, si mettano in viaggio e attraversino il Mediterraneo e finiscano morte annegate in pile umane dentro uno scafo sul quale fecce di criminali hanno impunemente lucrato migliaia e migliaia di dollari. Sarebbe stato meglio non fare la guerra a Gheddafi e continuare a stringere accordi con la Libia per evitare quello che succede oggi e non succedeva più, che nuovi barconi della morte puntino la prua sull’Italia solo per trasformarsi in sarcofaghi marini in preda a flutti e fiamme.

Ma la Bossi-Fini che c’entra? Chi è che si fa carico dei vivi, oltre che limitarsi a recuperare i morti (quanti siano non lo sapremo mai, c’è chi dice alla fine più di 360)? Qual è il poliziotto, il finanziere, il marinaio, il carabiniere, il sub, che ha condannato a morte quei disgraziati rifiutandosi di soccorrerli? Non c’è, non ci sarà, perché la legge del mare e quella degli uomini impone il soccorso e noi italiani siamo brava gente, professionisti, la tragedia avviene non per volontà dei militari o degli isolani dotati di una pazienza millenaria, ma per l’assurdità folle, assassina, dei viaggi della morte organizzati da speculatori di là dal Mediterraneo. Là, non qua. Anzi, saranno proprio i segnali di accoglienza a convincere i profughi a salpare verso l’ignoto e morire? Governare è un’immensa responsabilità e al di là delle buone intenzioni, il buonismo può uccidere. Di belle parole siamo tutti capaci.       

Io, profugo in Africa, reduce di tutte le guerre dalla Somalia all’Eritrea, dal Ciad al Niger, so che c’è un ministro buono in Italia, un ministro africano, anzi africana, come me. Si chiama Cecile Kyenge. Mi hanno detto che da quando governa lei in Italia c’è lo Ius Soli, la cittadinanza per nascita, e i miei figli, quando riuscirò ad approdare a Lampedusa con mia moglie e a metter su famiglia, saranno italiani. Avranno la cittadinanza di un paese che non è in guerra, non è massacrato dalle vendette, non conosce rivalità fra tribù, è un paese ricco, uno dei primi al mondo, non l’inferno africano, non è uno spettrale, orribile teatro di infinite miserie e violenze. Perciò voglio partire. Perciò voglio andare in Italia. 

C’è un ministro buono in Italia, e per avere scelto un ministro nero come me, che porta un nome simile al mio e è cresciuto, è cresciuta, nel mio continente, l’Italia dev’essere proprio il paese che fa per me, un paese ospitale che non permette che un profugo non ottenga l’asilo o un migrante per ragioni economiche metta piede sull’isola e non gli sia dato un pasto caldo, un tetto, un lavoro, una scuola e un ospedale per i figli. Io ho vissuto una vita spaventosa, circondato dalla morte e dalle malattie, dall’orrore di un conflitto senza fine, perciò voglio affrontare questo viaggio. L’Italia mi accoglierà, e potrò sempre camminare fino in Germania, in Francia, in Svezia… Là, nel Nord Europa, sarò finalmente libero e ricco, e mia moglie vivrà nella dignità del benessere, i miei figli diventeranno ingegneri. 

C’è un ministro buono in Italia, si chiama Cecile e vuol cancellare la legge che mi obbliga a avere un lavoro per essere in regola e restare là. Anzi, la legge, se l’ha detto lei che è ministro, sarà cancellata, forse lo è già, e io posso partire con la certezza di essere il benvenuto. Sì, certo, il viaggio è un rischio, devo attraversare il deserto, sfidare con la famiglia un calvario, lo so, è un viaggio che può non riuscire, nel quale io o altri, miei familiari, potremmo morire. E dovrò dare e distribuire a ogni tappa tanti di quei soldi che i risparmi di una vita non basteranno e forse dovrò vendere me stesso, mia moglie. Ma io sono, noi siamo, pronti a tutto. Io voglio tentare. Io ci riuscirò.

C’è un ministro buono, in Italia, si chiama Cecile e in tutti i modi mi sta dicendo: vieni, vieni che ti troverai bene, ti vogliamo, vogliamo proprio te, ti aspettiamo. A braccia aperte. E allora, fratello, non aver paura. Fai buon viaggio.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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