Lee Kuan Yew, il capo di Stato che obbligava i suoi sudditi a sorridere
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Lee Kuan Yew, il capo di Stato che obbligava i suoi sudditi a sorridere

L'indipendenza dalla Gran Bretagna. Il distacco dalla Malesia. Le martellanti campagne educative. Il profilo del fondatore della città-Stato di Singapore

Il fondatore della città-Stato di Singapore, Lee Kuan Yew, è morto all'età di 91 anni. Primo ministro dal 1959, anno dell'indipendenza dalla Gran Bretagna, al 1990, ha governato per trentanni Singapore con metodi autoritari, esercitando un controllo assoluto sulla stampa e mettendo a tacere tutte le voci di opposizione ma garantendo comunque ai suoi concittadini un livello di crescita e prosperità economica mai raggiunto, nonostante l'assoluta mancanza di materie prime, dagli altri Paesi vicini. 

Efficiente, cinico, mai lambito di accuse di corruzione, pragmatico e capace anche, secondo il New York Times che gli ha dedicato un profilo in prima pagina, di guardare al futuro senza i pregiudizi ideologici con cui molti leader del terzo mondo osservavano il mondo dopo la decolonizzazione. «Rigettiamo qualsiasi ideologia. Funziona o no? Noi ci facciamo questa domanda. Se funziona, continuiamo così. Se non funziona cambiamo» disse Lee al più autorevole quotidiano americano nel 2007, per spiegare quale fosse l'ideologia di Singapore, la città-Stato che ha governato per decenni creando in qualche modo, soprattutto dopo la separazione dalla Malesia avvenuta nel 1965, un modello di «capitalismo autoritario», aperto agli investimenti esteri e «offshore» che è diventata decenni dopo, con Shanghai e Hong Kong, un esempio per tutte le tigri asiatiche, Cina postcomunista compresa.

Lo studioso Cherian George una volta ha descritto la leadership di Mr. Lee, comunque intrisa di valori asiatici,  «una combinazione unica di carisma e paura».  Per coloro che non conoscevano in modo approfondito la storia di Singapore, Mr. Lee divenne famoso per le sue martellanti campagne politico-educative che obbligarono i suoi concittadini a sorridere, a parlare un inglese fluente, a fare sempre lo scarico, a non sputare in strada né buttare i chewing gum e la spazzatura dai balconi delle abitazioni. «Ci prendevano in giro, gli altri leader asiatici ridevano di noi ma confidavo nel fatto che saremmo stati noi ad avere l'ultima risata» scrisse nella sua monumentale autobiografia. «Non avessimo fatto queste campagne politiche - aggiunse - ora avremmo una società più grezza e crudele».  

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