Esfahan, Iran - Christian Lindgren
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L’economia iraniana si apre al mondo. Ma l’Italia è ancora in ritardo

La Repubblica Islamica è pronta a fare affari con l’occidente: Austria e Francia si sono già mosse per ottenere commesse, Roma insegue a distanza

Dopo la firma dell’accordo sul nucleare, il governo iraniano si muove con decisione per affrontare un problema che è ritenuto da Teheran di gran lunga più importante del possesso di una bomba atomica: la revoca dell’embargo economico e delle sanzioni, che ormai da anni stanno strangolando l’economia nazionale con costi sociali altissimi e politicamente insostenibili per il governo degli ayatollah.

Per raggiungere questo scopo, la diplomazia iraniana ha lanciato un’offensiva su più fronti per dimostrare che l’Iran vuole tornare al dialogo e alla cooperazione economica con l’occidente. Il 20 settembre scorso, il presidente Hassan Rouhani ha rilasciato un’intervista alla testata 60 minutes della rete americana CBS, durante la quale ha espresso valutazioni che solo un anno fa gli sarebbero costate la scomunica.

Dopo aver premesso che "la distanza, il disaccordo e la mancanza di fiducia tra Iran e Stati Uniti non si dissolveranno rapidamente", Rouhani ha sottolineato che l’importante è capire "in che direzione stiamo andando […] stiamo andando verso un’amplificazione dell’inimicizia oppure vogliamo diminuire l’inimicizia? Io credo che abbiamo fatto i primi passi verso la pacificazione".

Il presidente iraniano si è dichiarato certo che, di fronte al generale supporto popolare a favore dell’accordo sul nucleare, sia il parlamento che il Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale ratificheranno il trattato, mentre anche i Pasdaran del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie piegheranno la testa di fronte a una realtà che vede la maggioranza del popolo e delle istituzioni iraniane favorevoli a un ritorno alla normalità nelle relazioni internazionali del Paese.

La presenza iraniana all’ONU

La prossima settimana Hassan Rouhani si recherà a New York per partecipare all’assemblea generale delle Nazioni Unite e non è escluso che, per dare risalto all’evento, non si giunga alla liberazione del giornalista americano-iraniano del Washington Post, Jason Raizan, detenuto a Teheran dopo una condanna per spionaggio. Nell’occasione potrebbero essere liberati anche cittadini iraniani detenuti negli USA per reati legati a violazioni dell’embargo.

Interpellato sulla possibilità di arrivare a uno "scambio di prigionieri", Rouhani ha risposto alla CBS di "non apprezzare il termine scambio. Meglio parlare di una mossa umanitaria. Se c’è bisogno di fare un passo in senso umanitario, noi quel passo lo faremo […] Non si può continuare a guardare al passato, ma è giunto il momento di dare uno sguardo al futuro". Parole forti e chiare che confermano l’approccio pragmatico del presidente iraniano sul tema dei rapporti tra Iran e resto del mondo. Approccio confermato da una piccola ma significativa (e sbalorditiva) iniziativa del presidente stesso, che su Twitter ha fatto gli auguri a Israele per l’avvio delle celebrazioni della prossima festività del capodanno ebraico, lo Yom Kippur.

Austria e Francia corrono a Teheran

Mentre, quindi, la diplomazia si muove, anche il mondo degli affari si sta attrezzando in vista dell’inizio della revoca all’embargo, previsto per il 2016. E già l’8 settembre si sono mossi per primi gli austriaci. Una delegazione della Camera di commercio di Vienna si è recata a Teheran per siglare un accordo preliminare del valore di 80 milioni di euro, assicurandosi commesse nel settore dei ricambi automobilistici, dell’Information Technology e dell’ingegneria strumentale. Il ministro dell’economia austriaco Reinhold Mitterlenher in proposito ha dichiarato: “il nostro scopo è quello di creare la basi della cooperazione guardando ai prossimi anni”.

Anche i francesi si stanno muovendo. Domenica 20 settembre una folta rappresentanza delle più importanti aziende quotate nel listino CAC 40 della borsa di Parigi e di numerose piccole e medie imprese, è arrivata nella capitale iraniana per gettare le basi della stipula di nuovi contratti nel campo del petrolio, del mercato automobilistico, delle costruzioni, dei beni di lusso, dell’aeronautica civile e dei trasporti.

Per non perdere tempo, in attesa della fine dell’embargo i francesi sono intenzionati a stringere sin da subito accordi commerciali in un settore escluso dalle sanzioni: l’agricoltura e il commercio di bestiame. Al riguardo, il ministro dell’agricoltura francese, Stephane Le Foll, ha dichiarato che Parigi è interessata a “scambi con in tutti i comparti dell’agricoltura” e, in particolare, si è parlato del commercio di carni e pollame.

Il ritardo italiano

Progetti concreti, come si vede, che possono dare ossigeno alle esportazioni e all’economia di Austria e Francia. E l’Italia che fa? Non sarebbe giunto il momento di darsi la sveglia e di muoversi prima che i nostri partner europei (partner sì, ma concorrenti spietati sui mercati internazionali) occupino in Iran posizioni dalle quali le nostre aziende difficilmente potranno poi scalzarli? Forse è il momento di vedere la diplomazia del commercio muoversi prima e meglio di quella delle feluche.

Il Ministero dello Sviluppo Economico, insieme al Ministero degli Affari Esteri, Ice Agenzia, Confindustria ABI e Unioncamere, sta organizzando una missione in Iran dal 28 al 30 novembre prossimi, con una numerosa delegazione imprenditoriale italiana. Non ci sarà il ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi, ma il suo vice Carlo Calenda. La delegazione, in ogni caso, parteciperà al Forum Economico Bilaterale.

Un tentativo, forse un po’ timido, che rischia non solo di essere tardivo ma anche di vedere il nostro Paese tagliato fuori su settori centrali per la nostra economia, come appunto l’agricoltura e i beni di lusso.

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Alfredo Mantici