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Requiem per una legislatura

Dal ritorno di Berlusconi in prima linea all'imbarazzante duo Renzi-Boschi al fallimento del M5S, uno sguardo al 2018

La fine del 2017 coincide con quella della legislatura. La sovrapposizione induce a fare un bilancio, come sempre succede quando ci si affaccia a un nuovo anno.

L'alfa e l'omega della XVII legislatura hanno il volto del presidente del Senato e presidente della Repubblica supplente, Pietro Grasso.

Fu lui ad annunciare il 27 novembe del 2013 la decadenza di Silvio Berlusconi da senatore, legata a un'applicazione retroattiva della legge Severino e dunque contraria a un principio elementare del diritto: nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.

Inutilmente il Cavaliere chiese di attendere il pronunciamento della Corte di Strasburgo sulla vicenda: nell'Italia accecata dall'odio non poteva trovare spazio una richiesta del genere.

La sua espulsione era il logico completamento di una gigantesca caccia all'uomo iniziata nel 1994. Quattro anni dopo la storia si è incaricata di rimettere il Cavaliere al centro della scena, nel posto dove milioni di italiani lo hanno sempre voluto a dispetto di congiure di palazzo e di violenze del diritto.

Berlusconi è dunque nuovamente il protagonista della campagna elettorale del centrodestra. Troverà un suo avversario proprio in Pietro Grasso, ex magistrato che si è messo a capo di un partito politico diverso da quello che lo aveva eletto tradendo così la sacrale funzione di imparzialità legata alla sua carica.

D'altronde il "tradimento" è la parola chiave della legislatura: 546 parlamentari su 945 hanno cambiato gruppo. Un numero spropositato e avvilente. Transfughi e poltronisti hanno affiancato maggioranze trasversali ed estranee agli impegni elettorali, prova ne sono i tre governi figli non del mandato del popolo ma di spericolate acrobazie.

E se l'odio ha dato il "la" alla legislatura, era naturale che a cascata trovassero cittadinanza sentimenti come il rancore e la vendetta.

Al confronto delle idee si è preferito il ricorso a categorie che non dovrebbero trovare spazio nel dibattito parlamentare. L'ultimo esempio è arrivato dai lavori della commissione parlamentare di inchiesta sui crac bancari, l'ennesimo atto di masochismo di Matteo Renzi che ha disvelato in maniera inoppugnabile il "metodo Rignano" della gestione del potere.

Oltre che imbarazzante è apparsa come un'offesa all'intelligenza la pietosa difesa che lo stato maggiore del Partito democratico ha innalzato attorno a Maria Elena Boschi, inchiodata dalle diverse e autorevoli testimonianze alle sue gigantesche irresponsabilità.

Con Renzi - incapace di intercettare e cavalcare la voglia di cambiamento del Paese per evidenti e a questo punto insuperabili limiti personali dimostrati anche nella gestione del referendum costituzionale - ha fallito anche il Movimento 5 stelle.

Beppe Grillo l'ha capito e si è ritirato alla chetichella, così della forza che doveva sconquassare il sistema rimane la più evidente dimostrazione della sua inconsistenza: rimane Roma, città umiliata agli occhi del mondo per la manifesta incapacità amministrativa di Virginia Raggi, sindaca grillina.

Ora Luigi Di Maio ci dice che vorrebbe guidare l'Italia e basta leggere un po' di analfabetismi su pensioni e tasse, lavoro e impresa per rimpiangere Grillo. Almeno lui ci faceva ridere. E insomma: buon 2018!

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Giorgio Mulè