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Più che le urne poté l’invadenza della magistratura

Quale che sia infatti l’evoluzione (o involuzione) del confronto tra i  leader, è ormai chiaro che nelle mani delle toghe c’è una pesantissima  golden share elettorale

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Caro direttore; altro che fair play, qui se le danno di santa ragione! A Berlusconi siamo abituati, al fumantino Bersani ci stiamo prendendo l’abitudine, ma dal compunto professor Monti proprio no, non mi aspettavo i toni sempre più elevati (o estremisti?) della campagna elettorale. Sul più bello riecco la magistratura e l’infinita polemica sui processi del Cavaliere. Ma possibile che in Italia non si riesca a condurre una competizione elettorale senza interventi esterni?
Luciano Palermo, Bari

Che peccato: questa campagna elettorale iniziava anche a essere divertente e assai diversa dalle altre. Perfino Mario Monti s’era fatto prendere dalla fregola del candidato (candidato-non candidato, nel suo caso) e dopo il Pifferaio magico magari studiava come appiccicare a qualche avversario la favola di Alì Babà e i quaranta ladroni, anche per evitare pericolosissime similitudini tra il suo governo e i ladroni. A rovinare questa festa di democrazia hanno pensato i magistrati.

E rieccoci qui a disegnare il cammino che ci separa dalla data del voto con il calendario dei processi di Silvio Berlusconi. Quale che sia infatti l’evoluzione (o involuzione) del confronto tra i leader, è ormai chiaro che nelle mani delle toghe c’è una pesantissima golden share elettorale. Il processo Ruby andrà a sentenza prima del 24 febbraio. Se non fosse così (ma sarà così alla luce dell’atteggiamento del tribunale che ha una gran fretta di arrivare al termine), sarà anche peggio: magari il dibattimento si fermerà prima dell’apertura delle urne – e i giudici potranno così dire di non avere interferito – ma solo dopo la durissima requisitoria pronunciata dal pubblico ministero e dopo la pesantissima richiesta di condanna nei confronti di Berlusconi, descritto per l’occasione come un essere abietto. Tutti i giornali e le televisioni del mondo faranno da grancassa all’avvenimento e ricomincerà la tiritera sul Cavaliere impresentabile, «unfit» e bla, bla, bla. Nel frattempo arriverà al dunque anche il processo sulle intercettazioni dell’affaire Bnl-Unipol, mentre viaggerà spedito quello d’appello sulla vicenda della compravendita dei diritti tv (4 anni in primo grado, con interdizione dai pubblici uffici).

Un film già visto. Se questo groviglio processuale fosse stato sbrogliato dopo il 24 febbraio, non sarebbe cambiato assolutamente nulla: la giustizia avrebbe fatto ugualmente il suo corso senza alcun danno, visto che la prescrizione si sarebbe bloccata per questo breve periodo. E invece no. Per la sinistra si tratta di un gran regalo. Bruciato l’effetto Matteo Renzi, perché nelle liste non c’è neppure polvere di rottamazione, il Pd, che riproporrà il non candidato Massimo D’Alema nell’esecutivo in caso di vittoria, in queste ultime ore ha addirittura cercato un accordicchio con Antonio Ingroia (toh, un altro pm che sogna di vedere il Cav dietro le sbarre) per tentare di non perdere la battaglia per il Senato. È il sintomo di un partito e di una coalizione in difficoltà, già alleata di Monti per il dopo voto ma prigioniera della sinistra estrema di Nichi Vendola. È una coalizione col fiato grosso quella che riceve, oggi, il soccorso (il soccorso rosso, stavo per dire) della magistratura. E manca ancora più di un mese al voto. Tenetevi forte: purtroppo, ne vedremo delle belle.

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Giorgio Mulè