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ANSA / MATTEO BAZZI
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Matteo Renzi, l'uomo che non crede più nella propria faccia

Il segretario del PD dovrebbe finalmente spalancare le porte dell'autocritica e farsi visitare dal dubbio di aver sbagliato qualcosa

Se dovessimo ridurre a una battuta l'esito delle elezioni amministrative dovremmo concludere che l'uomo che in campagna elettorale non ci ha messo la faccia ha perso la faccia. Tale infatti è la quantità e la qualità delle città perse dal Pd, da Genova a Sesto San Giovanni passando per Monza e Pistoia tralasciando gli altri 13 capoluoghi passati al centrodestra, che Matteo Renzi dovrebbe finalmente spalancare le porte dell'autocritica e farsi visitare dal dubbio di aver sbagliato qualcosa.

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Non è così, ovviamente. Il segretario che dal 2013 guida ininterrottamente il Partito democratico ha al contrario letto il voto in un maniera talmente dissociata dalla realtà da suggerire di agevolargli un lampione dove potersi appoggiare e trovare requie.

I numeri, non le acrobazie semantiche, dicono indubitabilmente che eccezion fatta per le europee del 2014 Renzi non ha mai vinto alcuna consultazione: comunale, regionale o storica come il referendum costituzionale. Tanto che, pur non dando seguito alla reiterata promessa di ritirarsi dalla politica, ha dovuto lasciare il governo a dicembre 2016. Rieletto segretario, la prova delle amministrative era il vero banco di prova della tenuta del renzismo dopo il trauma della scissione di un pezzo del partito.

Per questo ci attendevamo di vedere l'instancabile segretario, pur privato del mitico "Air Force Renzi", trotterellare da un Comune all'altro al fianco dei candidati, impegnato in tutte le trasmissioni televisive, immerso in dirette Facebook accompagnate da mitragliate di tweet e selfie. Renzi non lo ha fatto, non ha avuto fiducia nella propria faccia, ha addirittura temuto che potesse portare dissenso invece che consenso. Sul fronte opposto Silvio Berlusconi la faccia ce l'ha messa, eccome. Senza risparmiarsi. 

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Il risultato è che Renzi ha perso e Berlusconi ha vinto. D'altronde: come può pensare di vincere il leader di un partito che gioca a nascondino? L'ex premier non ha azzeccato una mossa mentre si avvicinava la data delle elezioni. Due esempi: ha cavalcato lo ius soli pur sapendo che gli italiani chiedono in questo momento ben altre politiche sull'immigrazione e invece di andare a Porta a Porta per firmare un "contratto con gli italiani" ha politicamente controfirmato un megacontratto a Fabio Fazio da oltre 11 milioni per rimanere in Rai.

I cittadini hanno punito lui e il Pd. Il fatto grave è che non c'è realmente alcuna possibilità che Renzi impari dai suoi errori. Dopo la batosta alle amministrative del giugno 2015 (all'epoca perse tra l'altro nell'amata Arezzo, oltre che a Venezia, Matera e Nuoro) commentò così e cito testualmente le sue parole: "È un risultato molto a macchia di leopardo. Queste elezioni dicono con chiarezza che con il Renzi2 non si vince. Devo tornare a fare il Renzi 1 nel Pd. E farlo davvero. È arrivato il momento in cui Renzi torni a fare Renzi, senza le estenuanti mediazioni di questi mesi".

Si imbarcò nel referendum costituzionale e sappiamo come finì. Fu però di parola: smise di mediare e infatti ha perso un pezzo del partito mentre un altro lo sopporta malamente (vedi Emiliano e dintorni). Oggi che il compagno segretario si è fumato un nugolo di roccaforti e bastioni del Pd, ecco la sua lucida analisi che riporto ancora una volta testualmente: "I risultati delle amministrative 2017 sono a macchia di leopardo". La soluzione? "Anziché rincorrere Pisapia devo tornare a fare Renzi". Davvero, chi gli vuol bene gli procuri al più presto un lampione.

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Giorgio Mulè