Maroni indagato: se la giustizia sa di terrore
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Maroni indagato: se la giustizia sa di terrore

Perché l'inchiesta su Expo 2015 suscita gravi perplessità

Dopo aver letto i titoli dei giornali sulla vicenda giudiziaria che coinvolge il presidente della Lombardia Roberto Maroni, l’esercizio mentale più immediato, ma anche il più pigro, è quello di accomunare questa storia ai disastri che hanno travolto altre regioni italiane. E cioè a quell’ingorgo di scandali in cui vengono contemplati articoli del codice penale diversissimi tra loro e che a ogni latitudine ha azzerato oltre la metà delle giunte. Dopo una rapida e certamente incompleta ricerca ho superato il numero di 20 presidenti di regione travolti da inchieste negli ultimi 5 anni; mentre certamente è da record europeo  (e forse mondiale) il numero dei consiglieri regionali italiani indagati o già condannati. Permetterete allora, prima di tornare a occuparci di Maroni, un veloce corollario rispetto alla riforma del Senato che prevede l’elezione dei suoi membri affidata non ai cittadini ma proprio ai consigli regionali. A queste macchine di sperpero e di scandali, dunque, dovrebbe essere demandata la composizione della «Camera alta». Perdonerete allora la franchezza: a me, con queste premesse, sembra una follia.

Torniamo a Maroni e vediamo di spiegare perché qui c’è tutta un’altra storia da raccontare rispetto alle altre. Il governatore della Lombardia è indagato dalla Procura di Busto Arsizio per «induzione indebita a dare o promettere utilità» in relazione a due contratti a termine stipulati dalla società Expo 2015 e dall’Ente della Regione Lombardia per la ricerca, la statistica e la formazione (Eupolis) nei confronti di due professioniste non indagate e dal curriculum ineccepibile per l’incarico affidato. Prima riflessione e primo mistero: perché Busto Arsizio? Perché in quell’ufficio giudiziario si sta indagando da oltre 2 anni sulle presunte tangenti di Finmeccanica che con questa storia c’entrano come il cacao in polvere sugli spaghetti all’amatriciana. Nulla. Però in Italia va così: si producono inchieste per gemmazione in barba a qualsiasi criterio grazie alle intercettazioni telefoniche, basti pensare a quanto accaduto in passato a Potenza con le mirabolanti indagini evaporate poi come un gelatino al sole.  
Le lunghe orecchie di Busto Arsizio sentono qualcosa il 4 luglio, evidentemente quanto basta per ritenere di avere sufficienti elementi contro Maroni: viene così armata la grancassa mediatica e la procura ordina una perquisizione negli uffici della regione. I carabinieri sono autorizzati a sequestrare «documentazione cartacea e informatica su supporti magnetici, server, computer portatili e fissi, palmari, smartphone e cellulari di contenuto amministrativo-contabile, extracontabile, contrattuale, bancario, comprese le agende, le rubriche, le business card, gli appunti, le email, i fax e quant’altro sia riconducibile ai fatti per i quali si procede». Un’orgia di dati passata al microscopio.

Bene: vediamo chi sono le persone che sarebbero state indotte da Maroni a commettere il reato, i dirigenti o gli impiegati indebitamente piegati alla volontà del governatore. I magistrati scrivono che si tratta di «esponenti di Eupolis» e  di «esponenti di Expo 2015 spa». Bene, leggiamo i loro nomi perché i «coartati» saranno stati identificati, intercettati, magari i pubblici ministeri li avranno interrogati e «gli esponenti» avranno ammesso. No, nient’affatto: gli «esponenti» sono «in corso di identificazione», al momento cioè sono dei fantasmi.
Ecco, di questa giustizia io ho terrore. E so di che cosa parlo.    © riproduzione riservata

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Giorgio Mulè