Ma i moderati sono tutti lì che aspettano
ANSA/GIORGIO BENVENUTI
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Ma i moderati sono tutti lì che aspettano

Il voto delle regionali può lanciare un messaggio forte e chiaro: è il momento di dare finalmente un futuro al Paese

In una riflessione che pubblichiamo a pagina 26 del numero di Panorama in edicola, Alessandro Giuli si chiede se esista in Italia "qualcosa definibile ancora come 'destra'. E già solo parlarne mi pare sensato". Parliamone, dunque. Con un vantaggio in più rispetto a Giuli perché lo facciamo alla luce dei risultati elettoraliin Trentino Alto Adige e in Val d’Aosta. Risultati impietosi per il centrodestra, che certamente risentono di disastrose scelte locali, ma che sarebbe riduttivo considerare una sfortunata parentesi. Il problema della rappresentatività di una parte politica lontana dalla sinistra leccalecca impersonificata da Matteo Renzi esiste, eccome.

Prima considerazione: sicuramente il 40 per cento di chi non è andato a votare non sarà in toto ascrivibile al centrodestra, ma una buona parte certamente lo è. La diserzione delle urne è indubbiamente legata alla disaffezione per l’offerta politica, accentuata nelle elezioni locali dalla scelta del candidato. Se quindi i candidati schierati non sono stati né carismatici né trascinatori, altrettanto sicuramente la base "nazionale" su cui poggiavano deve essere apparsa agli elettori traballante se non inesistente o comunque non sufficientemente motivante per andare ai seggi.

Seconda considerazione: nell’arcipelago del centrodestra che rappresentava un tempo una federazione vincente da un capo all’altro del Paese non emerge nessuno. La Lega, che canta vittoria per i consensi ottenuti, con una percentuale così bassa di affluenza si condanna a non essere mai forza di governo. Il resto dei partitini, come si dice, non è pervenuto. Tra due settimane arriverà il verdetto, molto più importante, su sette Regioni.

Assodato che solo nelle elezioni nazionali Silvio Berlusconi ha dato e può sempre dare uno sprint, potendo contare su un tesoro di voti legati solo e soltanto alla sua persona, sul fronte del centrodestra gli ultimi sondaggi raccontano comunque di un Veneto saldo nelle mani di Luca Zaia e di partite apertissime in Liguria con Giovanni Toti e in Campania con Stefano Caldoro. Insomma, a oggi sembra impossibile che possa finire con il 7-0 preconizzato da Renzi.

E questo nonostante non ci sia a livello nazionale uno schieramento o, per dirla con Giuli, un "qualcosa definibile ancora come 'destra'". Siamo al punto. In Italia la maggioranza dell’intero corpo elettorale è composto da moderati, che non sopportano litigiosità e beghe interne ai partiti ormai ben al di sotto del limite della decenza. Il fattore che li aggrega è un immanente senso dello Stato, inteso come forma di convivenza che prende per mano i cittadini e non li calpesta con tasse spropositate e burocrazie lunari; una convivenza che deve essere sempre e comunque accompagnata dalla mai sopita fame di libertà e di giustizia in luogo dell’oppressione e della partigianeria. Con il voto delle regionali può dunque giungere dal complesso mondo dei moderati un messaggio forte e chiaro che è insieme un atto di fiducia e una cambiale politica: ci siamo e non ci rassegniamo, ma è giunto il momento di chiudere definitivamente la stagione della politica al ribasso per "definire" finalmente un futuro per l’Italia e per ogni cittadino alle prese con una crisi che si trascina ormai da otto anni.

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Giorgio Mulè