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L'estate e il Carnevale delle emergenze - L'EDITORIALE DEL DIRETTORE

Estate, tempo di "emergenze", grande esempio del fallimento della buona politica, sia locale che nazionale

Il pericolo maggiore dell’estate è quello di annoiarsi. Durante l’inverno, uno aspetta l’arrivo di agosto come fosse il traguardo della vita. Quando poi ci si ritrova nel bel mezzo a volte è una delusione. E dunque subentra la noia. Ma se nelle ferie che vi rimangono avete sviluppato un senso di ripulsa per la solita partitina a burraco o tressette, provate a pescare dal grande mazzo dell’attualità la carta dell’emergenza.

Ecco: l’"emergenza" sta all’estate come "la settimana decisiva" all’inverno. Per elencare entrambe non è sufficiente l’aggregazione dei calendari gregoriano, islamico, persiano e cinese: ce ne sono più delle giornate mondiali istituite dall’Onu.

Se durante i mesi del freddo salutiamo ogni lunedì come quello catartico per le sorti di ogni problema (che sarà rinviato a un’altra settimana, ovviamente "decisiva"), da fine luglio alla prima settimana di settembre è tutto un fiorire di "emergenze".

Ci sono due categorie di emergenze, quelle stagionali e quelle croniche. Se d’estate fa caldo, fenomeno effettivamente insolito, scatta l’"emergenza caldo"; se non piove, altro fenomeno rarissimo ad agosto, s’avanza "l’emergenza siccità"; se scoppiano gli incendi sarà "emergenza piromani". Poi ci sono le emergenze croniche. E qui arriviamo al ridicolo della politica, ma non solo.

In Puglia vengono uccise quattro persone, due delle quali testimoni innocenti. Improvvisamente scoppia l’"emergenza criminalità" nel Gargano e si mobilitano forze dell’ordine e ministri, magistrati e società civile. Peccato che in quel territorio si siano contati 300 omicidi in trent’anni e che l’80 per cento sia rimasto impunito. E la chiamate emergenza? O si ha il coraggio di definire ancora "emergenza" la situazione dei rifiuti, del trasporto pubblico o dei conti sballati del Comune di Roma? E davvero si pensa che quello dei migranti e degli sbarchi possa essere impunemente osservato come un fenomeno inatteso e dunque ancora una volta emergenziale?

Tutte queste "emergenze" rivelano il fallimento della buona politica, locale e nazionale. Di più. Rappresentano la miseria della politica, incapace di affrontare i problemi con la visione e il coraggio che ne richiedono.

Rifugiarsi nell’emergenza è la mortificazione del leader che, come affermava un celebrato uomo d’affari americano, "è capace di riconoscere un problema prima che diventi un’emergenza".

Non ci vuole dunque un oracolo per sapere che tra due o tre mesi, al sorgere delle "settimane decisive" (si andrà dalla legge elettorale a quella di bilancio), ci sarà un’"emergenza freddo" per i terremotati del centro Italia.

Come Panorama documenta incessantemente quella del terremoto non è un’emergenza ma una vergogna fatta di discorsetti retorici e caschetti indossati su grisaglie ministeriali per sfilare a favore di telecamere tra le macerie: macerie che dopo un anno sono rimaste dov’erano per più del 90 per cento.

Quelle rassicuranti pacche sulle spalle con faccettina di circostanza dispensate a sindaci e cittadini somigliano a coltellate alla luce del disastro della mancata ricostruzione in un territorio dove non ci sono neanche le casette. Emergenze le chiamano, spudorati.

Come se non si sappia già adesso che in autunno Roma salterà metaforicamente in aria a causa del disastro finanziario con autobus fermi e immondizia accatastata nelle strade. Di sicuro, dovessero vincere i 5 Stelle in Sicilia, non salterà in aria neanche una casa abusiva costruita in spregio a qualsiasi legge.

Lo chiamano "abusivismo di necessità" e mentre lo dicono uno si piega in due dalle risate al ricordo del loro grido di battaglia: o-ne-stà, o-ne-stà. Non sanno dove abita l’onestà, hanno smarrito l’indirizzo. D’altronde che vi aspettate da chi predica l’abusivismo?

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Giorgio Mulè