Caprotti: storia di un gigante e di un pasticcino
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Caprotti: storia di un gigante e di un pasticcino

La lezione del grande uomo è destinata a superare la sua morte. Perché le leggende, al pari del tempo, non finiscono mai

Da un paio d'anni Bernardo Caprotti aveva deciso che dovevamo darci del "tu". Ci vedevamo con una certa regolarità, ci sentivamo al telefono, ci scambiavamo lettere, rigorosamente scritte a mano e recapitate dal suo autista nel breve tratto che separa la sede di Esselunga a Pioltello e quella della Mondadori (e quindi di Panorama) a Segrate. "Ma scusa, no dico scusa Mulè: ma per quale motivo non devi concedermi il tu?" disse una mattina di qualche anno fa il Dottore.

E con quel "tu" suggellò l'amicizia, il comune sentire tra un piccolo giornalista e un gigante. Di ritorno da uno dei nostri incontri scrissi su un foglio una sua frase, sistemandola in bella vista nella libreria dell'ufficio che, insieme con il suo proverbiale "never give up" ("non mollare mai") già caro a Winston Churchill, rappresenta un viatico della mia vita: "Caro Mulè, andiamo avanti: ricordati e ricordatelo bene, abbiamo solo cominciato".

Voi direte: embè? Che c'è di tanto straordinario in una frase del genere? La pronunciò il 21 ottobre 2014 a proposito della infinita telenovela sull'apertura di un punto vendita Esselunga osteggiata da interessi di un'azienda concorrente: Bernardo Caprotti aveva appena compiuto 89 anni. Ecco: il Dottore prendeva a pugni il tempo.

Per lui era una variabile senza senso. Appena un anno prima, il 20 agosto del 2013, mi aveva scritto da Porto Rotondo annunciandomi in anteprima (sottolineò la parola aggiungendo "nessuno lo sa") che a causa dell'ennesimo "incidente sanitario" dopo l'estate non sarebbe tornato in ufficio perché "o sarò fit to fight (in condizione di combattere, ndr), oppure... in oltre sessant'anni la mia parte l'ho fatta".

Il Dottore prendeva a pugni il tempo

Ovviamente come tutti gli uomini di buona volontà e di buona scuola americana (aveva vissuto nel Nuovo Mondo subito dopo la laurea e aveva lavorato fianco a fianco con Nelson Rockefeller) tornò al lavoro. E ricominciarono i nostri incontri a pranzo, nella spartana mensa di Pioltello, a base di branzini al sale e altri cibi rigorosamente in vendita da Esselunga.

Per dare un'idea di chi fosse Caprotti, e di come sia riuscito a costruire un impero che fattura oltre 7 miliardi con 22 mila dipendenti, racconterò un episodio. Alla fine di una di queste colazioni fu portato a tavola un vassoio con della piccola pasticceria. Bernardo smise d'improvviso di parlare. Si ammutolì.

Iniziò a fissare il vassoio, assunse la stessa identica posa del cane da caccia nel momento in cui individua una preda e la fissa paralizzando ogni muscolo del corpo. Rimase così per alcuni secondi. Poi si alzò, mi raggiunse dall'altro lato del tavolo, estrasse il fazzoletto dalla tasca e sempre senza dire una parola prese un pasticcino e lo avvolse con tale delicatezza manco fosse una spina della corona di Nostro Signore. Finalmente parlò: "Non ci siamo. No, no, no. Troppo lievitato, too much... troppo".

Il giorno successivo lo videro spuntare di buon mattino a Parma, nello stabilimento Esselunga che produceva i dolci. Tirò fuori il pasticcino, pretese che la catena si fermasse fin quando il "calibro" non fosse stato adeguato a quello che lui voleva. La stessa identica scena, ma per l'etichetta di un ammorbidente, si è ripetuta poche settimane prima che se andasse: quattro ore di sfinimento, fino a che non ottenne il risultato

Era un maniaco sul lavoro, verissimo. Pignolo oltre ogni immaginazione, altrettanto vero. Caparbio e ostinato, sicuro. Era semplicemente un genio, punto e basta, con una rarissima sensibilità umana e artistica. Timido al punto da non volere necrologi per evitare la corsa di "vanitosi e cortigiani".

In occasione di una straordinaria intervista a Brescia per "Panorama d'Italia" (la trovate qui) disse: "Il talento è quello che gli americani chiamano imagination. Bisogna sapere immaginare, bisogna anche sapere evolvere, sapere guardare un pochino più in là...". Lui era questo: vedeva oltre e anche molto oltre, era l'essenza stessa dell'essere imprenditore. Aveva momenti di sconforto, come tutti.

Bernardo Caprotti, patron di Esselunga intervistato da Giorgio Mulè, direttore di Panorama, in occasione del tour Panorama d'Italia a BresciaSilvia Morara

L'ho visto commuoversi alcune volte, succedeva quando raccontava la storia di suoi dipendenti alle prese con difficoltà familiari, economiche o di salute. Li assisteva tutti, tutti, e lo faceva in silenzio. Gli chiesi dei figli, di questo rapporto conflittuale fino all'incomunicablità con Giuseppe e Violetta, nati dalla prima moglie. In lacrime mi raccontò di essersi svegliato dopo un'operazione dalla quale poteva non uscirne vivo e di aver trovato accanto a sé la sola figlia Marina, che adorava al pari della seconda moglie Giuliana: "Mi chiedo come un figlio possa non riconoscere la sua carne e come possa ostinarsi a vivere fingendo di non saperlo".

Era burbero e si infervorava perché non accettava la sopraffazione. Liberale fino al midollo, non digeriva scendere a compromessi. Bianco o nero, mai grigio. Sbaglia e offende la sua memoria chi lo vuol frettolosamente bollare come un nemico crociato della sinistra, magari per nascondere nel nome storpiato di un'ideologia i soprusi e le angherie alle quali fieramente si opponeva. Mi spiegò: "Non tutti i cosiddetti "comunisti" ci sono pregiudizialmente contro, fra essi ci sono tante persone corrette ed amiche con le quali abbiamo fatto e facciamo tanto bel lavoro. Diversamente lo diciamo".

Di sicuro non ingoiava ciò che gli appariva un'ingiustizia. Nell'infinito duello con i concorrenti ha quindi combattuto su ogni fronte, compreso quello giudiziario. Dopo alcune sentenze definite "allucinanti, incredibili" che lo lasciarono "sgomento" mi confidò: "Con me, ciò che non produssero le stagioni dei rapimenti, delle Brigate rosse, delle okkupazioni proletarie, delle innumerevoli "assemblee di lavoratori" nelle sale di vendita a negozi aperti, potranno i giudici. Questo Paese non ci merita, si può solo andare via".

Restò, altroché: non si arrese e soprattutto non smise mai di combattere. In questo incarnava perfettamente lo spirito e l'essere imprenditore milanese e lombardo (lui che era nato ad Albiate in provincia di Monza) ed è per questo che dedichiamo idealmente a lui la copertina di questa settimana (da pag. 40) e la tappa di "Panorama d'Italia" a Milano che inizierà domenica 16 ottobre. La storia e la lezione di Bernardo Caprotti sono destinate a superare la sua morte. Perché non si può scrivere "the end" pensando alla sua avventura, e perché le leggende, al pari del tempo, non finiscono mai.

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Giorgio Mulè